domenica, marzo 28, 2010

 

Ulivo simbolo di pace

Questa domenica porta il nome di due alberi, viene chiamata Domenica delle Palme o Domenica dell’Ulivo. Questo nome gli è stato dato perché tre evangelisti dicono che Gesù entrò in Gerusalemme accolto trionfalmente come Messia, mentre la gente stendeva i suoi mantelli quali tappeti dove passava e strappava delle fronde dagli alberi per agitarli in segno di gioia. Non si tratta quindi né di palme né di ulivi, ma il nome dei due alberi è stato preso perché le palme e gli ulivi erano comuni nella Palestina di allora. Oggi in questi due alberi possiamo vedere dei significati simbolici. La palma è segno di vittoria, l’ulivo è segno di pace. E l’entrata di Gesù in Gerusalemme, una settimana prima della sua morte e risurrezione, può essere intesa come vittoria. Attraverso una lunga passione, il Cristo risulterà vincitore sulla morte per mezzo della sua risurrezione. La palma anche oggi ha un significato vittorioso, si parla di “Palmares” del cinema, uno sportivo conquista la palma della vittoria, e già gli antichi martiri erano raffigurati con una palma in mano. Oggi a chi possiamo dare la palma della vittoria? Credo che sia difficile poterlo stabilire. L’ulivo è simbolo di pace. Già nel primo libro della Bibbia, la Genesi, si parla di Noè che lasciò uscire dall’arca una colomba e dopo alcuni tentativi ritornò al patriarca portando nel suo beccuccio l’ulivo simbolo della pace, ed è questa la colomba così ben raffigurata da Picasso. Anche oggi coloro che vogliono costruire la pace la dipingono sulle loro bandiere per significare che là dove c’è concordia e amore esiste la pace. È chiaro che Gesù entra in Gerusalemme a portare la pace. Dirà ai suoi apostoli “Vi do la mia pace, non la pace del mondo”, ma quella pace fondata su Dio per gli uomini, quella pace che vi impegna non solo a non fare agli altri, ma soprattutto a fare agli altri quello che vorreste sia fatto a voi. Se oggi andiamo in Chiesa e prendiamo l’ulivo, non accogliamolo come un oggetto scaramantico, ma come simbolo non tanto di vittoria, quanto di pace.

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martedì, marzo 23, 2010

 

Un'altra Chiesa? Sì!


È di grande tristezza, per i membri di alcune chiese cristiane, leggere quasi quotidianamente sui giornali, in questi tempi, articoli in merito ai problemi di pedofilia che si riscontrano nelle gerarchie, commessi anche molto tempo fa. Fanno bene le chiese a denunciare fatti del genere alle autorità competenti, e a non riservarle ai propri tribunali; farebbero però ancora meglio ad aprire un dibattito sul problema della sessualità in generale. Parlo soprattutto della Chiesa Cattolica, restia ad un'analisi approfondita della situazione riguardo questo argomento; le cui massime autorità nell'atto di affermare la necessità di procedere contro chi abusa dei fanciulli, pronunciano un preventivo "no" a chi vorrebbe approfondire il problema. Mi sembra invece necessario discutere apertamente su situazioni che interagiscono con la sessualità: il celibato dei preti, la questione gay, l'ammissione dei divorziati ai sacramenti, ecc. Non pretendo di avere delle suggestioni su questi argomenti, ma ritengo che sarebbe ottima cosa approfittare di questa crisi per aprire un discorso, magari attorno a un tavolo cui trovano posto teologi di diverse confessioni religiose, psicologi, sociologi, cultori di etica laica, pedagoghi, padri e madri di famiglia, ecc.
Per noi cattolici questo impegno potrebbe essere suggerito anche dall'Anno sacerdotale voluto da Benedetto XVI, durante il quale non si può presentare come unico modello per il clero la figura del Santo Curato d'Ars. Personaggio certamente interessante, ma datato e poco conosciuto da chi non legge il breviario o non è esperto in agiografia.

Forse un modello moderno, diverso, ma sicuramente non meno valido, è mons. Oscar Romero, del quale in questi giorni si celebrano i trent'anni da una morte cruenta. Vittima dell'odio delle autorità civili del San Salvador perché si era schierato apertamente per la giustizia, in favore di poveri agricoltori privi di libertà e dei necessari mezzi di sussistenza.
Ho visto recentemente un film su Oscar Romero, pellicola forte, interessante, ben condotta e molto istruttiva. Ho deciso di proiettarla ai miei giovani cresimandi, offrendo così la visione di "un'altra chiesa".
"Altra" rispetto a quella che loro criticano, ma della quale - con il sacramento della confermazione - si apprestano a diventare parte attiva.
In questo filmato si mostra chiaramente come l'elezione di Romero ad arcivescovo di San Salvador non sia stato un atto di coraggio da parte delle autorità vaticane. Esse avevano visto in Romero un topo da biblioteca, un uomo calmo e tranquillo, che non avrebbe dato fastidio al potere costituito autoritario e liberticida, devoto alla diplomazia ed accomodante coi ricchi latifondisti del paese. Particolarmente interessante la scena in cui si mostra l'omaggio di un'autorità al nuovo arcivescovo il giorno della sua presa di possesso del servizio; questa gli presenta come dono una croce, probabilmente artistica, vistosamente acuminata.
Diversi confratelli dell'episcopato si rallegrarono di quella scelta, come del resto le autorità civili, anche se qualcuno, ritenendolo di salute cagionevole, già prospettava un servizio di breve durata.
All'inizio della sua missione vescovile Romero rispose al modello accomodante auspicato dalle autorità, ma quando tra i perseguitati dalla giustizia si iniziarono ad annoverare anche sacerdoti suoi collaboratori, più esposti e forse coraggiosi di lui, si ribellò. Così facendo l'arcivescovo si meritò però immediatamente l'accusa di essere al servizio dei comunisti, solo perché difendeva coloro che erano senza beni comuni. Il vescovo rifiutò questi epiteti politici e si appellò al vangelo.
Quando un giorno si trovò dinnanzi ad alcune vittime assolutamente innocenti - tra le quali un bambino, un sacerdote, un anziano - decise che i loro funerali sarebbero stati celebrati nella cattedrale, e per quel giorno sarebbero state sospese tutte le Messe in città, affinché il popolo accorresse a con-dolersi con i parenti, con lui, con l'intera Chiesa salvadoregna. La cosa suscitò critiche molto severe, perché le autorità capirono benissimo la valenza rivoluzionaria di quel gesto: non si trattava di sospendere le altre Messe per avere un maggior numero di fedeli e per una cerimonia più suntuosa, ma per un lutto familiare ed un grido di giustizia.
Alcuni tra i suoi stretti collaboratori non furono d'accordo sulle disposizioni dell'arcivescovo, ed appoggiarono l'autorità civile, che da quel momento si mostrò sempre più sospettosa nei riguardi di Romero, giudicato "rosso", non certo per il colore dei suoi abiti.
La tensione andava crescendo, anche perché Romero fece conoscere all'estero la situazione politica della sua patria: questa non era una bella propaganda per chi governava direttamente, o indirettamente, il paese. Le stesse autorità religiose centrali erano perplesse e non mancarono di manifestare la loro titubanza per il modo così sincero e forte proprio all'arcivescovo nell'esprimere la propria condanna contro i violenti e gli usurpatori dei diritti umani.
Intanto in patria si iniziava a tramare contro Romero, allo scopo di eliminarlo. Il momento dell'assassinio fu altamente simbolico: durante la celebrazione di una sua eucaristia nel momento della consacrazione del calice, il sangue del vescovo si mescolò al sangue di Cristo.
Alcuni spezzoni di questo filmato, che ho intitolato personalmente "Un'altra Chiesa", saranno proiettati al centro Spazio Aperto di Bellinzona, mercoledì 24 marzo, dopo una S. Messa celebrata nella vicina chiesa del Sacro Cuore alle ore 20.00 in ricordo di Romero. La proiezione sarà seguito da una conferenza del giornalista Mauro Castagnaro.
Come ho detto, farò vedere "Un'altra chiesa" ad alcuni giovani, perché sappiano sollevare i loro occhi dalle miserie detestabili di una chiesa peccatrice per vedere anche gli eroismi di una chiesa perseguitata e martire.

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domenica, marzo 21, 2010

 

S.Giuseppe e i nonni

È appena passata la festa di S. Giuseppe, ora più conosciuta come la festa del papà. Fa piacere ai cattolici che sia scelto il giorno di San Giuseppe come festa del papà. Fa meno piacere se questa festa si riduce a una questione puramente economica, comperare il regalino per il papà.
Ma quando una festa per i nonni?
C’è la festa della mamma, la festa del papà e vogliamo proprio dimenticare i nonni? Qualcuno mi dirà: “La festa del papà è anche la festa del nonno, la festa della mamma è anche la festa della nonna”. È vero, non si chiamano forse “genitori biss”? In Italia sembra che si festeggino i nonni il 2 ottobre, giorno dedicato agli angeli custodi. I nonni sono una grande risorsa nella nostra società soprattutto se trasmettono ai nipoti dei valori, resta chiaro che i primi educatori dei figli devono essere i genitori, questi devono mettere dei paletti sicuri sul cammino della loro vita. Ma dentro questi paletti i nonni possono e devono agire.
La trasmissione dei valori data dai nonni viene fatta soprattutto con l’esempio, perché i figli hanno bisogno di vedere nella persona anziana quello che fa o che dice. In secondo luogo possono esercitare questa funzione educativa con racconti.
I nonni non hanno bisogno del libro delle fiabe, se sono appena capaci di leggere il libro della loro vita, sapranno raccontare cose meravigliose che per i bambini diventano più credibili che non la favola di cappuccetto rosso e del lupo cattivo. Fra la trasmissione dei valori vi è anche la trasmissione religiosa, se i nonni hanno una seria importazione religiosa, alle volte sono proprio i primi catechisti dei loro nipotini. Magari i genitori vivono un tempo di crisi religiosa, l’hanno abbandonata, ecco che la nonna senza portare il bambino o il ragazzo a dare un giudizio sulla religiosità dei suoi genitori, lo può accompagnare. Per tutto questo la festa del papà diventa un’occasione per ringraziare i nonni e tutta la nostra generazione anziana.

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mercoledì, marzo 17, 2010

 

Internet ergo sum

Copertina del libro delle parabole di P.Callisto
Questo titolo, che ho letto non ricordo più dove e che continuava con "la rete ha cambiato la nostra vita ed il nostro modo di pensare" mi dà lo spunto per completare - tramite questo blog - la prima edizione del mio ultimo libro sulle parabole di Gesù.
In effetti, P. Ortensio da Spinetoli, il maggior biblista vivente italiano, mi ha onorato con una sua presentazione-recensione, talmente acuta e a largo raggio che ho pensato bene di collocarla come prefazione alla seconda edizione (italiana) del mio libro. Per tutti coloro che hanno già la prima edizione, accludo qui di seguito il commento di P. Ortensio, che con un classico copia-incolla-stampa potrà integrare utilmente le prime pagine del testo già nelle loro mani.

L’autore ha avuto la felice idea, l’intuizione, non diciamo l’ispirazione di dedicare un volume a parte alle più belle pagine del vangelo, eccezionali, incomparabili, verosimilmente uniche nella letteratura religiosa di tutti i tempi. Testi didattici che non fanno leva su sottili riflessioni sapienziali o meno ancora su precise argomentazioni accademiche, bensì su “esemplificazioni” tratte dalla vita di ogni giorno, da ciò che accade sotto gli occhi di ognuno e di tutti. “Parabola” infatti traduce una parola greca derivata dal verbo “parà-ballo”, “metto a raffronto”, “paragono”, ben più esplicita dell’eterogeneo corrispondente termine ebraico mashal: esempio, allegoria, proverbio, favola, finzione, gioco, parabola (cfr. p. 16, n.5).
Gesù non è l’unico profeta che ha fatto ricorso a questo linguaggio (v. i richiami nel pp. 12-20), allo stesso modo si potrebbe provare a dire che p. Callisto non è il primo che si è trovato a commentare la parabola evangelica, ma l’ha fatto in una maniera così personale, chiara, efficace che non è dato spesso incontrare.
Il libro eccelle infatti per la sua informazione esegetica (v. gli autori che cita a pié pagina e nella “bibliografia consultata”, pp. 189-191), ma più ancora per la tattica professionale, ovvero catechetico-pastorale quale si addice ad un esperto divulgatore della divina parola (v. l’elenco delle sue pubblicazioni all’ interno della copertina, p. 197), ad un animatore di comunità e di gruppi di credenti, dentro e al di fuori della propria circoscrizione residenziale, raccogliendo quesiti e interrogativi su problemi di vita e di fede, a cui ora si propone di rispondere in questa “seconda parte” della ricerca su “Gesù”.

Dopo un obbligato ragguaglio propedeutico, cioè introduttorio, (cc. I-V), il libro passa a una dettagliata e insieme sintetica analisi delle singole parabole (VI-XVI). Da esperto espositore e catechista, l’autore intercala l’esposizione o rassegna, oltre che con delle illustrazioni del Doré, note ma sempre incisive, con pagine extra, per di più ben incorniciate e a caratteri tipografici più rilevanti e più vivi, nelle quali si possa scorgere d’un colpo d’occhio, il tema, i protagonisti, i dialoghi, sottintesi, ma esplicitati, delle principali parabole. Se il più delle volte gli autori mettono in corsivo i punti più salienti che vogliono far meglio notare, Callisto ha fatto il contrario, costellando di “murales” la raccolta dei quadri parabolici.
Il messaggio centrale delle parabole, come si sa, è la rivelazione dei “misteri del regno dei cieli” (Mt 13,11) e l’annunzio della straordinaria, inesauribile bontà, misericordia divina. Due temi che non si possono richiamare, esplicitare, approfondire mai abbastanza poiché sono lamidolla stessa, l’essenza del vangelo. L’autore lo riferisce inizialmente (c. IV) e lo ripete qua e là in tutto il libro, dato che il regno è il tema dominante della predicazione di Gesù (il termine ricorre oltre un centinaio di volete nei sinottici, v. p. 35) e quindi il più illustrato delle parabole. Ma quello che non si deve dimenticare, avverte coraggiosamente p. Callisto, è che l’espressione non richiama un semplice enunciato profetico, bensì una programmazione se non eversiva, sempre innovativa, per non dire “rivoluzionaria” (p. 52). Il binomio non allude a un ristabilimento o rinsaldamento della dominazione di Dio sul creato e gli esseri che lo popolano, che non è stata mai messa in pericolo, ma l’avvio di una convivenza tra gli uomini qual’è quella che vige tra gli abitanti del cielo che non può non essere serena, ordinata, felice. Il corso della storia secondo l’ideale, il sogno, l’utopia di Gesù potrà, dovrà “presto” (“oggi”: Lc 4,18), cambiare come avevano previsto i profeti (cfr. Is 9, 1-6), fin dalle origini (cfr. Gn 2).
La sorpresa tuttavia che i testi parabolici lasciano nell’animo del lettore è che lo pongono troppo spesso di fronte a un’immagine contrastante, ovvero contraddittoria di Dio e di Cristo.
Egli è il signore munifico che condona 10mila talenti, una somma a quei tempi quasi incalcolabile (Mt 18, 21-27) e poco dopo condanna irreparabilmente lo stesso debitore a una pena senza fine, lui e la famiglia (18, 28-35). Allo stesso modo è il re che costringe tutti, buoni e cattivi, a entrare nella sala del convito e poi si mostra spietato contro il povero invitato che non era riuscito a procurarsi la veste da cerimonia (Mt 22, 7-12). Gesù dice a Pietro che occorre perdonare 70 volte sette, cioè sempre, e la comunità di Matteo che pure agisce in nome di Cristo, dopo la seconda ammonizione espelle dalle sue fila il trasgressore (Mt 18, 15-17). Sono specimen delle ben note “antinomie” che si riscontrano nei vangeli e che finiscono per lasciar perplessi i suoi lettori. P. Callisto allude alla svelta ed un’eventuale “maturazione (evoluzione) psicologica” di Gesù che da patrocinatore di una quasi inimmaginabile misericordia divina si sia poi sentito obbligato, alla pari del più dei profeti, a far appello ai rigori della sua giustizia (p. 25), ma ricorda pure e più frequentemente e anche più giustamente (pp. 15; 3 1-156) che i ripetitori dell’insegnamento di Gesù sono stati costretti a “tradurlo”, cioé a reinterpretare, quindi adattarlo al grado di formazione culturale e maturazione spirituale dei nuovi destinatari.
Il Buon Pastore
E in questo passaggio possono essersi verificate contaminazioni, persino rilevanti “diversificazioni” “cose parecchio diverse” : p.15) rispetto al messaggio originario di Gesù. “Comunque le parabole come le possediamo sono forse più elaborazione delle prime comunità che parole di Gesù, come spesso vedremo nel commento che faremo delle stesse” (ivi, p. 15).
In tutti i modi i diretti destinatari del messia, provenivano dal giudaismo e passando alla sequela di Cristo hanno conservato molte delle concezioni teologiche ed etiche in cui erano nati e vissuti e per questo non sono sempre riusciti a comprendere (v. la domanda di Pietro in Mt 18,21) e può darsi nemmeno ad accettare l’altissima liberalità che Gesù accordava al Dio dei padri che era sì largo (almeno con i figli d’Israele) in bontà e misericordia (cfr. Es 34, 7; Num 14,18; Dt 5, 9-10) ma anche oltremodo geloso, pronto a punire le colpe dei padri nei figli (innocenti) fino alla terza e alla quarta generazione (Es. 20, 5; cfr. Dt 28). Se ciò è vero non è fuori posto pensare che brani e brandelli della vecchia legge (in questo caso anche del taglione) siano entrati a far parte della predicazione apostolica e nello stesso tempo di uno (pseudo) messaggio evangelico. Gli orti e i vestiti vecchi si sono ritrovati a stare insieme con vini e pezze nuove!.
Gesù si era provato a liberare gli uomini dall’oppressione dei propri simili e dal terrore di Dio, ma certi suoi seguaci sembra che abbiano avuto più a cuore rilasciarli in balia del potere (chiamandolo “autorità”: Rm 13,1) degli uomini e dell’ira di Dio (chiamandola “giustizia”). Sono i “rigoristi” della prima e delle successive generazioni (chiamati i manichei o giansenisti), in una parola i “farisei” di tutti i tempi che hanno finito per oscurare se non proprio cancellare il messaggio centrale del vangelo, la grande benignità e umanità del nostro Dio (cfr. Tit 3,4), quale risplende, secondo il libro di p. Callisto, nel primigenio tenore delle “sue meravigliose parabole”.

P. Ortensio da Spinetoli

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domenica, marzo 14, 2010

 

Valori e percezioni

Mi inserisco anch’io nel dibattito in corso sulla distribuzione dei preservativi agli adolescenti di 11-12 anni, se non altro perché - ai tempi - fui sostenitore dell’educazione sessuale in famiglia e nella scuola, e di seguito presidente della commissione cantonale per l’educazione sessuale.
Questa volta non voglio partire da motivi morali, sarebbe troppo facile attaccarmi come cantore obbligato ad eseguire un inno comandato, ma da motivi di tecnica della comunicazione. Una proposta come questa ha un suo “dichiarato”: distribuiamo i preservativi a chiunque ne fa richiesta per evitare gli aborti. Ma ha anche diversi “percepiti”: c’é chi la capisce così come é interpretata e perciò potrebbe essere anche d’accordo, un aborto se é sempre un male (non é un giochetto!), per una giovanissima é devastante psicologicamente.
Ma oltre a questa percezione ce ne possono essere altre: se persone in autorità dicono di usare il preservativo vuol dire che il rapporto é raccomandabile, basta che non abbia l’effetto indesiderato della gravidanza. E se é così perché non farlo a qualsiasi condizione. Magari con ricatti: “se non lo fai ti lascio”, “se non ci stai, ragazzo mio, c’é quel mio compagno che é d’accordo, mi ha già mandato un messaggino”. “Una sveltina con la più bella della classe, o col macho più ambito, non sarà mica una cosa seria: servirà a far crepare d’invidia tutti coloro che gli (le) fanno la corte. L’importante é batterli sul tempo. E che c’entra l’affettività con la sessualità; cose sorpassate!”.
Questi possono essere i vari “percepiti” di chi viene sollecitato all’uso dei preservativi per rapporti nei quali, corpo e spirito (= sensibilità, affettività, valori etici quali rispetto, responsabilità, ecc.), sono disgiunti.
E che persone deputate a combattere l’Aids non abbiano pensato a questi “percepiti” non ci credo. Il loro messaggio é per lo meno ambiguo se non provocatorio.

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domenica, marzo 07, 2010

 

Attualità della Quaresima

Siamo in Quaresima. Un tempo la Chiesa Cattolica esigeva dai suoi fedeli l’astinenza dalle carni e il digiuno.
Oggi, di queste pratiche è rimasto un pallido ricordo, il mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo. Per la verità il digiuno è tornato di moda, lo hanno scoperto gli “apostoli della magrezza” che in esso hanno visto un mezzo efficace per ottenere un aspetto attraente. Ma recentemente si è anche scoperto che con il digiuno non si dimagrisce affatto; alla prima occasione le cellule affamate ricuperano il grasso e si rivestono più che mai di un cuscinetto. Lo si definisce effetto “yo-yo”. Mentre gli apostoli della salute fanno marcia indietro, anche i medici sconsigliano digiuni che portano all’anoressia, e gli stilisti arrivano a scartare le modelle-lucertole.
Stanno aumentando le persone che digiunano per motivi laici più nobili; per non appesantirne il corpo a danno dello spirito, per amore dello studio che non è aiutato da una pancia troppo piena, ed anche perché ci si sente meschini nell’abbuffarsi quando milioni di uomini muoiono di fame. Il digiuno per motivi spirituali e caritatevoli, espulso dalla porta, rientra dalla finestra. Nella spiritualità medioevale, dove il digiuno era severo, veniva motivato da questo aforisma tutt’altro che banale: “Ciò che Adamo mangiando ha perso, Cristo lo ha riconquistato digiunando”. Se per Adamo intendiamo l’uomo materiale e vediamo in Gesù Cristo un modello spirituale, questo detto va bene per tutti noi, credenti e non credenti.
Un tempo al digiuno era unita l’astinenza dalle carni e forse da questa pratica sono nati i vegetariani a scopo salutifero e religioso. Le antiche motivazioni che sostenevano l’astinenza non erano certo di carattere igienico, ma economico; la carne costava, il pesce - soprattutto in paesi di mare e di lago - era il cibo dei poveri. Oggi le condizioni si sono invertite. Ma un po’ di astinenza fa bene alla salute, all’ecologia, alla partecipazione economica e affettiva con coloro che un pezzo di carne commestibile non possono nemmeno sognarlo perché non l’hanno mai visto.
Il “Sacrificio Quaresimale” e il “Pane per i fratelli” incanalano i nostri risparmi ottenuti con l’astinenza e il digiuno verso chi ha bisogno.

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giovedì, marzo 04, 2010

 

Non mancate di vedere anche queste pagine...

Non importa come siete arrivati a leggere queste righe, o se avete già trovato quello che cercavate: non tralasciate di visitare la sezione Gruppo Presepisti Ticinesi anche se vi si tratta di argomenti, almeno apparentemente, del tutto fuori stagione.
A volte si trova colui che si cercava per vie imprevedibili e inattese. O quantomeno si apprezza una felice ispirazione...

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