domenica, giugno 27, 2010

 

Crisi della Chiesa.


Anche quest’anno durante l’estate voglio sviluppare, attraverso questa etic(hett)a, un tema d’attualità, anche per permettermi di trattare un argomento che mi sta a cuore. Quest’anno il tema è quasi obbligato per un ecclesiastico: voglio dire alcune cose sulla Chiesa. Premetto che sarò critico ma io amo la mia Chiesa e le recenti polemiche mi fanno soffrire. Quando parlo di polemiche evidentemente accenno ai problemi legati alla pedofilia del clero. In merito prima di Pasqua ho tenuto una discussione alla nostra televisione, nella rubrica “Contesto”, con il vescovo Mons. Grampa. Molte persone, dopo quella trasmissione, mi hanno scritto, telefonato, complimentandosi per la chiarezza con la quale ho affrontato il problema.
A tutti loro ho risposto che i complimenti andavano fatti al nostro vescovo che, essendo un’autorità ecclesiastica, aveva maggiore responsabilità del sottoscritto nel parlare di un “bubbone” scoppiato nella Chiesa cattolica. Il vescovo ha parlato con franchezza, non ha nascosto il suo turbamento e ha detto cose importanti sulla prevenzione. “Contesto” è una trasmissione televisiva troppo breve per sviluppare un argomento così delicato ed importante. Ecco perché, iniziando a parlare della Chiesa, vorrei dire un paio di cose che in quell’occasione non ho avuto il tempo di esprimere.
In primis: la crisi generata dalla pedofilia del clero è tanto grave perché ha investito la morale cattolica su un punto che le era particolarmente caro e per il quale aveva elaborato una precettistica molto stretta che nemmeno si trova così rigida nell’Antico Testamento. Sembra proprio che sia stata – da parte di alcuni - una specie di vendetta, di fronte a tanta severità, quella di poter accusare dei sacerdoti di gravi trasgressioni.
Secondo: c’è soltanto da augurarsi che questa bufera generi un ravvedimento che porti a cambiare parecchie cose all’interno della Chiesa Cattolica e delle quali parleremo prossimamente.

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domenica, giugno 20, 2010

 

Politica nella polis

Domenica scorsa a Bellinzona si è votato per l’urbanizzazione di Pratocarasso. Il Municipio, dopo un lungo iter, ha presentato un piano. Diversi gruppi, per motivi anche diversi, hanno raccolto firme per un referendum.
Essendo parroco di questa zona, sono venuti da me sia i favorevoli al piano municipale, sia i contrari. A tutti ho detto che non prendevo posizione. Ai referendisti ho proibito di raccogliere firme sia fuori dalla chiesa, sia all’esterno del centro Spazio Aperto. Ma ai pro e ai contro ho offerto la sala del centro Spazio Aperto per un dibattito il più sereno possibile. Ne ho affidata l’organizzazione e la direzione al giornale locale, “laRegioneTicino”, proprio per non essere implicato di persona; ho poi seguito quasi tutto il dibattito. C’erano motivi validi sia dall’una come dall’altra parte.
Quello che mi preme dire in questa etic(hett)a è che un parroco deve essere parroco di tutti e non è bene che prenda posizione su problemi urbanistici, non è il suo compito. Questo però non vuol dire che un sacerdote non deve fare politica. Credo di aver fatto politica in tutta la mia vita; per politica intendo quella parte dell’etica che si interessa ai problemi sociali, cioè della polis. Ma ci sono problemi di natura tecnica che facilmente dividono la popolazione e dentro i quali è facile che si nascondano anche interessi privati, forse legittimi. Ecco perché un parroco deve rimaner fuori da queste tensioni, non è il suo compito indicare se l’urbanizzazione di un quartiere va bene o se è meglio farla in un modo diverso. Per questo di fronte al risultato mi sento libero. È chiaro che se un giorno sarà approvato un altro progetto, come hanno optato i referendisti, sarà compito della parrocchia dare il benvenuto a tutti presentandosi, scusandosi con coloro che non si riconoscono come cattolici, e rendendo tutti a conoscenza dell’esistenza di un centro di socializzazione (Spazio Aperto) al quale chiunque può accedere indipendentemente dalla fede religiosa, dalla nazionalità, dalla lingua e dalla militanza partitica.

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domenica, giugno 13, 2010

 

Collaborazione

Lo scorso 2 giugno si è riunito a Bellinzona, presso il centro Spazio Aperto, il gruppo istituito dal Governo per uno studio strategico sull’agglomerato urbano del bellinzonese.
Fanno parte di questo gruppo persone residenti nel bellinzonese: non solo delle autorità, sindaci, gran consiglieri ma anche alcune persone che hanno un ruolo particolare: industriali, presidenti di associazioni, uomini di cultura. Quando mi è stato chiesto di essere membro di questo gruppo ho accettato perché mi è stata data questa motivazione: dal momento che è cresciuto e lavora come uno dei parroci di Bellinzona deve conoscere bene la regione.
Come hanno riferito i nostri quotidiani, alcuni sindaci si sono rifiutati di partecipare a quella prima riunione ritenendo che il gruppo aveva lo scopo di proporre la fusione dei comuni attorno al centro di Bellinzona. Non sembra che lo scopo diretto sia questo; comunque coloro che hanno rifiutato, secondo me, hanno avuto torto per il semplice motivo che non ci si può arroccare dietro la fissazione delle istituzioni per salvaguardare il proprio potere o quello del rispettivo Comune. “Le Istituzioni sono al servizio dell’uomo, non l’uomo al servizio delle istituzioni”, direbbe il Vangelo. Ora gli uomini sono cambiati, non solo numericamente; hanno perciò bisogno di aggiornare le proprie Istituzioni. Andar contro questo aggiornamento vuol dire andar contro la storia, e chi lo fa ne esce sempre perdente.
Vi è inoltre una questione economica: i grossi Comuni che sono riusciti a fare delle modifiche nel loro assetto istituzionale hanno risparmiato e ora aiutano i Comuni meno ricchi. E’ prevedibile che domandino a questi di fare uno sforzo per risparmiare, dicendosi non disposti di continuare ad aiutare se non vedono la buona volontà di risparmiare. Ma ciò che è più importante è lo spirito di collaborazione che deve animare i Comuni che abitano in uno stesso territorio; soltanto così il paese potrà crescere e le istituzioni essere al servizio dei cittadini.

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Nostre radici culturali

Sabato scorso sono stato a visitare la mostra dei crocefissi (Mysterium Crucis) di Mendrisio. Bellissima!
Complimenti a Don Angelo Crivelli e alla sua equipe per aver raccolto tanti cimeli d’arte religiosa di cui è ricca la nostra terra. Se ci fosse stata una piccola sala con qualche significativo crocefisso moderno (Remo Rossi, Felice Filippini, Guido Gonzato, Fra Roberto), si poteva testimoniare che il cristianesimo anche oggi, nel Ticino, è ispiratore d’arte e sa creare opere preziose.

Il giorno dopo ho partecipato alla manifestazione dei 100 anni della FeBaTi (Federazione Bandistica Ticinese) sia come ex presidente della Civica Filarmonica di Bellinzona, sia come delegato vescovile (Mons. Grampa, spiacente, era impossibilitato) e ho benedetto il nuovo vessillo. Cerimonia ricca e varia, molto bene organizzata. Durante la stessa, oltre alla benedizione, abbiamo avuto altri momenti (musicali) di spiritualità; il canto degli esuli ebrei in Babilonia (Salmo) di Giuseppe Verdi eseguito magistralmente dal Coro polifonico di Mendrisio, il Salmo Svizzero (pure una preghiera), dei pezzi di un gruppo che suonava il corno delle alpi che richiamava le melodie meditative di chi vive e lavora sulle nostre montagne.

Tutto questo mi fa concludere che le radici cristiane e spirituali del nostro paese sono sempre profonde e non mi meraviglia che, in quelle sedi di scuola media dove si danno almeno due opzioni per l’istruzione religiosa, parecchi allievi – per il prossimo anno – abbiano scelto l’opzione confessionale.

Da noi nessuno che abbia un minimo di cultura pensa che la religione sia un affare privato. Oltre alle croci, alla musica, anche altre arti si ispirano alla religione: pensiamo alle chiese di Tami e di Botta per l’architettura, ai romanzi di Martini per la letteratura. Sarà personale il modo di essere (o non essere) religiosi ma la storia, la tradizione e l’arte che alla religione si ispirano sono patrimonio sociale che va difeso e conservato per la nostra cultura.

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