domenica, febbraio 24, 2008

 

Imparare a soffrire e perdonare

Dopo aver parlato dell’assassinio di un giovane, devo continuare con pensieri tristi sempre nel campo dei giovani. Sono stato ancora recentemente confrontato con il problema di un suicidio. Nell’omelia che ho tenuto al funerale, dopo aver detto che un simile gesto, generato e generatore di dolore non può essere approvato, ho subito aggiunto che non deve essere giudicato. Per i cristiani ce lo proibisce anche Gesù: “Non giudicate se non volete essere giudicati”. Per tutti lo proibisce l’intelligenza e l’onestà: Chi sei tu che pretendi di giudicare una persona che non può difendersi e della quale non conosci i motivi profondi per un gesto irreparabile!

Ma il “non giudizio” non vuol dire “non riflessione”, soprattutto in questi anni e nei nostri ambiti (l’opulenta Svizzera) nei quali i suicidi in genere, e quelli giovanili in particolare, sono in forte crescita. Come mai? Quali sono le cause di carattere generale? Ne indico alcune: prima, la mancanza dall’allenamento a sopportare la sofferenza fisica e psichica, con l’abuso di medicinali, di sedativi, di tranquillanti. Cioè se il piccolissimo bambino piange subito lo si imbottisce di calmanti. L’adolescente depresso per non aver superato l’esame, per essere stato lasciato dall’amico/a ricorre a psicofarmaci. Se il travaglio diventa più grave, cosa si farà?

Altre cause. Viviamo in una società dove è difficile trovare chi disinteressatamente ti ascolta. Chi non solo ti consola, ma anche ti sprona e aiuta a superare le tue difficoltà. Il clima di solitudine che ci circonda non ci aiuta a sentire e a vedere le richieste di aiuto. Purtroppo un SOS resta spesso senza sostegno! Causa, forse principale, la mancanza di valori profondi per i quali si desidera combattere e fra questi valori una fede in Dio che nel pericolo ti porge una mano - come fece con l’amico Lazzaro - dicendoti: “Vieni fuori da quella tua tomba di morte”. E agli astanti che sentono queste sue parole comanda: “Tagliategli i legacci della disperazione e aiutatelo a risorgere a vita nuova”.

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domenica, febbraio 17, 2008

 

Sgomento, preghiera e perdono.

Non si è ancora spento l’eco per l’uccisione di Damiano Tamagni. Personalmente la tristissima notizia mi ha raggiunto sul Monte Sinai dove, con un gruppo di parrocchiani e amici, stavo percorrendo il cammino dell’Esodo. Uniche reazioni: sgomento e preghiera.

Ritornato a casa ho letto i giornali, ho discusso con amici, mi sono posto diversi interrogativi e mi sono dato alcune risposte che con semplicità voglio comunicare ai miei affezionati lettori.

Prima considerazione: i tre giovani assassini (non abbiano paura di usare questo nome) provengono da etnie che hanno codici comportamentali diversi, radicati, nel profondo di generazioni, che difficilmente si modificano, se non c’è un lungo e costante lavoro di educazione ai valori della pace, della comprensione, del rispetto. Un fatto di per se banale può far riemergere reazioni assolutamente sproporzionate, assurde, che probabilmente nemmeno loro, fuori dal momento del delitto, sanno spiegare. Il carcere punitivo non servirà a nulla se la detenzione non sarà accompagnata da un’opera educativa che vada ad estirpare le radici di un odio incomprensibile, ma realizzatore di un gesto inumano.

Uno di questi ragazzi era arbitro, quindi persona che dovrebbe sedare le risse fra giocatori, giudicare le loro azioni, punire atti scorretti, specie violenti. Ma chi gli ha dato la patente?… Un ente sportivo che non sa scegliere i suoi arbitri è ancora degno di credito?

È giusto favorire i ritrovi, le associazioni, le feste, fra membri della stessa nazione, della stessa etnia, a condizione che non vada a scapito dell’integrazione dei rapporti corretti e rispettosi del paese ospitante.

Non so se questi giovani avevano una religione e se sì, quale. Dal loro gesto risulta avessero quella che quasi duemila anni fa ha portato alcuni membri del nobile popolo ebreo a comportarsi allo stesso modo con un profeta di pace chiamato Gesù.

Ed un pensiero ai genitori della vittima; grazie per il vostro messaggio, Damiano non ha certamente fatto testamento, per lui lo avete fatto voi ed è un attestato di grande nobiltà e spiritualità. Comprendo il padre che ritiene “essere troppo presto per perdonare”. Vorrei ricordargli che perdonare non è dimenticare, non è rinunciare alla giustizia. Perdonare è un lungo cammino che inizia estirpando sentimenti di odio, per giungere a mete lontane, dove la propria sensibilità e la fede possano portare. Se a questa famiglia posso essere di aiuto, sono disponibile.

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domenica, febbraio 10, 2008

 

Quaresima e Pasqua.


Se l’Avvento, tempo in preparazione al Natale, per molti si riduce ad una corsa ai regali, quello in preparazione alla Pasqua, la Quaresima, generalmente è più contenuto. Per i credenti dovrebbe essere un tempo di maggiore istruzione, maggiore generosità, maggior riflessione. Ma io vorrei che fosse così anche per i non credenti e non praticanti, perché tutti abbiamo bisogno di più cultura, di più aperture, di più approfondimento.

Più cultura. Di fronte al materialismo imperante l’alimentazione culturale è il maggior antidoto all’abbruttimento. Se poi questa cultura è nel campo della spiritualità, diventa un potente ricostituente per alimentare la parte nobile di noi stessi: lo spirito.

Più apertura verso gli altri, cioè generosità. I cristiani svizzeri hanno stimoli pressanti attraverso il “Sacrificio Quaresimale” (per i cattolici), il “Pane per i fratelli” (per i protestanti). Ma anche chi non ha una fede, chi non si riconosce in una confessione, non è esentato a pensare agli altri che stanno tanto male da avere la vita appesa ad un filo.

Più approfondimento. I cristiani in Quaresima sono invitati a “convertirsi”, parola che vuol dire “cambiare strada”. Ma per cambiare strada devi essere convinto che stai camminando su una via sbagliata. E questa persuasione la puoi acquistare solo se verifichi quali sono i tuoi programmi di vita, le tue mete, i tuoi valori, con onestà e sincerità senza paura di dire a te stesso: “Sono fuori strada. Sto sbagliando. Devo cambiare”.

Chi non è credente, è forse esentato dal fare questo lavoro? L’antico adagio filosofico “conosci te stesso”, vale anche per lui!

Quindi a tutti, credenti e non credenti, dopo il divertimento di carnevale, buona Quaresima.

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domenica, febbraio 03, 2008

 

In pellegrinaggio

Caro lettore, mentre tu mi leggi io sono a parecchi chilometri di distanza, sul Monte Sinai. Sono partito venerdì con un gruppo che segue il corso dell’Esodo, libro biblico che da tempo stiamo studiando. Visitare i luoghi che si studiano durante il corso biblico, che la mia Comunità organizza, è diventata una necessità. Sono ormai più di vent’anni che annualmente organizziamo questi pellegrinaggi ai quali siamo stati introdotti da una grande guida: Carlo Franscini. Per la parte esegetica abbiamo sempre con noi un carissimo amico, Don Carlo Bazzi, professore di Sacra Scrittura all’Università Urbanione di Roma.
Ai nostri pellegrinaggi, ed ai corsi preparatori, vengono anche persone non praticanti, dubbiose e non credenti. La loro presenza è stimolante, non rinunciano a tutto quello che di spirituale comporta un pellegrinaggio (funzioni, letture, spiegazioni, ecc.) e la sera, quando è possibile riunirsi a discutere, anche queste persone sono molto attive.
Perché amo molto i pellegrinaggi e con la mia Comunità ne organizzo parecchi? Perché sono momenti di alimentazione spirituale, sociale e culturale. Per esempio, l’annuale pellegrinaggio che organizzo ad Assisi per i giovani sposi, che ho preparato al sacramento del matrimonio, è un momento tutto particolare, non solo perché è la continuazione del corso, ma anche perché offre momenti di silenzio (le Carceri, la Verna), di riflessione, e di una profonda conoscenza di quella personalità così affascinante che è San Francesco d’Assisi. Se poi si aggiunge qualche cenetta con cucina locale, ciò non guasta. Sono certo che ritorneremo dal Sinai più convinti che l’alleanza stabilita da Dio col suo popolo e rinnovata da Gesù su un altro monte che visiteremo, il Calvario, è un dono meraviglioso che va costantemente rinnovato.

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