domenica, giugno 28, 2009

 

La Chiesa e il papato

Domani è la festa dei santi Pietro e Paolo. Per i cattolici questa festa richiama un discorso sul papa e sul papato. Che oggi questo discorso sia problematico nessuno lo può negare, anche per le persone più fedeli, starei per dire più papiste.
Un teologo spagnolo, José Maria Castillo, scrive: “Non c’è dubbio che l’esercizio del papato sia estremamente difficile. Benedetto XVI dice di sentirsi solo e, anni fa, Paolo V e Giovanni Paolo II avevano chiesto aiuto ai vescovi e ai teologi per cercare nuovi modi di esercitare il ministero di Pietro, cioè il papato. Il problema di fondo non risiede principalmente nella persona del papa, se è conservatore o progressista, di questa o di quella tendenza... ma nell’incarico in quanto tale, vale a dire, nella modalità e nella forma che il papato ha finito per assumere. Nella Chiesa cristiana questa modalità e forma hanno avuto aspetti diversi. L’attuale supremazia del vescovo di Roma su tutti gli altri vescovi dovrebbe teologicamente appoggiarsi sul testo evangelico di Matteo 16, 18-19. Ma il grande teologo Ive Congar scrive: Si sa che anche questo testo che ora si applica al primato di Pietro, in tutto il medioevo veniva riferito ai dodici apostoli, ed era letto durante la cerimonia di ordinazione dei vescovi. Si aveva coscienza che gli apostoli avevano ricevuto lo stesso onore e la stessa potestà di Pietro".
Fu dopo, soprattutto sotto Gregorio VII (1073), che si prese la decisione più importante della storia del papato, quella di concentrare tutto il potere nelle mani del vescovo di Roma. Una decisione che si rafforzò nei secoli seguenti, soprattutto a partire da Innocenzo III, e dalla quale i teologi stabilirono la teoria della pienezza di potestà cioè, in pratica, del papa come padrone assoluto, non solo della Chiesa, ma anche del mondo. Il Concilio Vaticano II ha dichiarato che il papa ha una potestà piena, suprema e universale nella Chiesa, ma, aggiungendo immediatamente, che anche l’episcopato mondiale insieme al papa detiene questa potestà, senza tuttavia specificare come armonizzare nella pratica questi due poteri. Per cui una riforma del papato si prospetta di là da venire.

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domenica, giugno 21, 2009

 

Parabole, senza iperboli, senza effetti speciali!

Si sono chiuse le scuole e molte famiglie già partono per le vacanze. Ma cosa mettono nella valigia? Si tenta di portare di tutto e di più, perché ci vogliono abiti diversi per le diverse ore del giorno, per i diversi luoghi. Ma non vorrei che si dimenticasse qualche buon libro. Durante le vacanze c’è anche il tempo per alimentare l’intelligenza e lo spirito, ma non credo che le riviste di “gossip”, che parlano soltanto degli amorazzi dei vip, siano alimento sano per le persone intelligenti. Qualcuno dice: “è un passatempo”, ma il tempo lo si può passare in modi diversi; arricchendosi o diventando più poveri di sentimenti. Ognuno fra i libri ha le sue preferenze e credo che nessuno si scandalizzerà se approfitto di questa Etic(hett)a per consigliare due miei libri. Il primo “Ti presento Gesù Cristo, la sua biografia per chi crede con difficoltà, per chi dubita, ma vuol indagare, per chi non crede ma vuol conoscere” è noto, ha già più di un anno di vita ed un successo enorme, oltre tremila copie vendute nel solo Canton Ticino. È un libro che cerca di presentare Gesù in modo facile e attualizzato. Da un mese è uscito il secondo: “Gesù, le sue meravigliose parabole, per chi ancora non le conosce, per chi dubita ed è in difficoltà e non crede”. Quando ho scritto il primo libro non potevo soffermarmi più di quel tanto sulle parabole, ma non era mia intenzione scriverne un secondo solo sui bellissimi racconti di Gesù. Parecchie persone mi hanno però detto: «Perché non sviluppi le parabole?».
Sono racconti attuali che possono interessare chiunque, chi ha fede e chi non ha fede. Per esempio, tutti siamo chiamati a seminare del bene nella vita, ma tutti dobbiamo saper aspettare che il nostro bene cresca e non possiamo pretendere che sia un grano sviluppato soltanto in mezzo ad ottimi cereali. Il grano, anche nel campo più felice, è sempre mescolato con la zizzania. Questo discorso prende spunto da due parabole di Gesù: il seminatore generoso che semina ed il seminatore che, constatando come nel suo campo vi è della zizzania, proibisce ai servi di estirparla per paura che estirpino anche il grano buono.
Altre parabole sono attuali anche oggi ci sono figli che scappano di casa, ma quando tornano come sono accolti?
Da una porta chiusa o dal cuore aperto di un padre?!
Rileggendo e meditando il buon Samaritano...
Anche oggi ci sono incidenti sulle strade, ma chi si ferma ad aiutare o perlomeno a segnalare?
Sembra che Gesù abbia raccontato le sue parabole con il giornale in mano.
Ecco perché consiglio questi due libri, evidentemente con altri, che ognuno saprà scegliere secondo i propri interessi, basta che siano spiritualmente arricchenti!

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domenica, giugno 14, 2009

 

Essere cristiani, oggi.

Non è un mistero per nessuno che nella Chiesa cattolica, almeno occidentale, vi siano delle difficoltà. Alla primavera conciliare non è seguita un’estate di raccolto, ma un autunno con venti alle volte gelidi. La difficoltà maggiore, a mio avviso, sta in questo fatto denunciato da Giovanni Kirschner in un suo libro dal titolo significativo: Il tempo dell’Esilio, parole che faccio mie in modo convinto e che ho comunicato alla mia Comunità Parrocchiale.
“C’è stato un tempo, che sembra ormai lontano, in cui il cristianesimo in Europa, quindi anche da noi era la religione di tutti. Essere cristiano era un motivo di sicurezza e di prestigio sociale. Eri dalla parte della maggioranza, dalla parte del più forte. Oggi, lo sappiamo bene, non è più così. Da cristiani spesso ci sentiamo fuori posto, diversi, in minoranza. Quello in cui noi crediamo a molti dice poco o nulla, le nostre scelte vanno continuamente motivate e giustificate davanti ai nostri colleghi di lavoro, ai nostri vicini di casa, perfino davanti ai nostri figli che ci chiedono perché gli altri non fanno così”.
Considerazioni come questa sono ormai comuni, anche se spesso le Comunità fanno fatica a prendere atto della situazione e chiudono gli occhi davanti alla realtà, pensando così di difendersi da essa. L’azione pastorale delle Comunità deve aiutare a comprendere, in tutti i suoi risvolti, il passaggio dal regime di cristianità alla condizione di minoranza religiosa. Alla crisi della fede non si può che opporre una fede più limpida, più illuminata, più profonda e un’azione aggiornata attenta ai “segni dei tempi”.
I cristiani che prendono seriamente in considerazione questa situazione saranno vaccinati da ogni tentazione di trionfalismo, anche se dovranno stare attenti ad altre tentazioni, quelle del vittimismo e quella dell’intolleranza verso chi non la pensa come loro, perché ad essere in pochi c’è il pericolo di credersi i soli… cristiani.

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domenica, giugno 07, 2009

 

Ricordo della nostra chiesa.

Non vorrei che questa etic(hett)a interessasse solo i bellinzonesi perché parla di una chiesa di questa città, quella del Sacro Cuore di via Varrone. Settanta anni fa, i frati cappuccini rilevarono un progetto dell’arciprete di Bellinzona di allora, don Giacomo Giorgi, di costruire, nella zona nord, una chiesa. Essendo l’unica città dove i Cappuccini ticinesi non avevano una sede, accettarono l’invito e commissionarono al giovane architetto Rino Tami, coadiuvato dal fratello Carlo, di progettare una chiesa nei paraggi dell’attuale piazza Mesolcina. Gli architetti Tami convinsero i frati a spostarla più a nord anzi, secondo la loro volontà, l’avrebbero costruita ai confini fra Bellinzona ed Arbedo, perché prevedevano un ingrandimento in quella zona. I frati comperarono terreni per cinque franchi al metro dalla famiglia di agricoltori Christen. Gli architetti Tami edificarono una bellissima costruzione che fu portata a termine soprattutto dal più giovane Rino. Il concetto era quello di costruire tutto con i nostri materiali, quindi il granito della valle Riviera, un cotto che ricopre tutto l’interno uscito da fornaci del mendrisiotto, banchi ed altare in legno dei nostri monti. Anche gli artisti che furono chiamati a condecorare la chiesa dovevano essere ticinesi. La bella “Via Crucis” di Guido Gonzato, dipinta su quattordici affreschi che ornano tutta l’aula assembleare, un crocefisso di Remo Rossi che suscitò tali critiche da essere poi asportato ed ora orna la tomba della famiglia Resinelli, quattro evangelisti sulla facciata del porticato, pure di Remo Rossi. La chiesa fu consacrata dal vescovo Jelmini e, pur non essendo parrocchia, venne subito frequentata dalla popolazione del quartiere. Da bambino feci anch’io il chierichetto di questa chiesa, dove conobbi dei frati eccezionali, come il superiore di allora P. Bernardo Rampini e il mitico fra Giovanni Bernasconi, per i bellinzonesi “ul fra Giovannin”, che andava ancora alla questua per sfamare i frati che vivevano soltanto delle elemosine raccolte in chiesa. Il vescovo Ernesto Togni nel 1983 eresse la Parrocchia ed oggi, quel quartiere semi-deserto, è diventato molto popolato ed in continua crescita. Se ricordo questa chiesa, della quale sono il primo parroco, non è per portare sulla stampa una realizzazione che comunque onora i frati che l’hanno voluta e la città che la ospita, perché è un degno monumento artistico, ma per dire come si può essere previdenti nel costruire dei luoghi sacri là dove si prevede che la popolazione, aumentando, avrà bisogno di una assistenza spirituale costante.

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