domenica, febbraio 25, 2007

 

Quaresima

Etic(hett)a da "il c@ffè", 25 febbraio 2007

Oggi, in tutto il Ticino è Quaresima. Il nome esprime il significato, i quaranta giorni che precedono la Pasqua, nel ricordo dei quarant’anni che il popolo ebreo passò nel deserto durante l’esodo che lo portò dall’Egitto alla Terra Promessa e dei quaranta giorni che Gesù passò in solitudine prima di iniziare il suo impegno messianico.
Anche i non praticanti ricorderanno le quaresime della loro fanciullezza, coi fioretti, le buone azioni fra i quali primeggiavano l’astinenza dei dolci, l’assenza del fumo. Fioretti ancora di moda, se non altro per dimagrire e non rovinare i polmoni propri ed altrui.
Forse bisogna trovare fioretti nuovi; ne suggerisco tre.
Il primo è sfruttare quelle belle iniziative che si chiamano “Pane per i fratelli” (di marca protestante) o Sacrificio Quaresimale (di conio cattolico). Queste istituzioni raccolgono quel denaro che normalmente viene sparso per cose non necessarie. In Quaresima dovremmo dare secondo la nostra possibilità. La Bibbia parla di decime (10%) per esempio dello stipendio o, per i giovani che lo stipendio non l’hanno ancora il 10% della paghetta, per esempio delle spese del telefonino ecc…
Il secondo fioretto, potrebbe essere l’astinenza della televisione e, per quello che si vede, rigorosa scelta dei programmi. A bando tutti quelli immorali, e definisco immorali non solo quelli che mettono in mostra tette e chiappe, ma quelli violenti, i reality, grande fratello in testa, i giochi con premi stratosferici.
Terzo fioretto: scegliersi un libro interessante e proporsi di leggerlo durante la Quaresima. Ma non un romanzo rosa, un giallo, ma un libro di peso, di cultura. Se poi sei credente, un libro di spiritualità (un vangelo, l’introduzione alla Bibbia perché se l’affronti da solo è troppo difficile). E sai dove puoi andare a leggere un simile libro? Anche in chiesa, alternando la lettura ad un momento di riflessione (meditazione) e di preghiera.
A tutti, prima di augurare buona Pasqua, oggi auguro buona Quaresima.
Sarà per te un tempo di aumento di cultura e spiritualità.

domenica, febbraio 18, 2007

 

Licenze di carnevale

Etic(hett)a da "il c@ffè", 18 febbraio 2007

Nel nostro Cantone ci sono due carnevali: uno corto (che termina il martedì sera) e uno lungo (che termina il sabato dopo). Il lungo è chiamato “carnevale vecchio” e si tiene nelle terre ambrosiane, Tre Valli, Brissago, Capriasca.
Come mai? Tutto è dipeso da una riforma liturgica che non ha più considerato giorni di quaresima il giovedì-venerdì-sabato santo, perché facenti parte del Triduo Pasquale. Perciò, per far rimanere la Quaresima di 40 giorni (come dice il suo nome), l’ha anticipata al mercoledì di carnevale: la Chiesa Ambrosiana non ha accettato questa modifica ed è rimasta col “Carnevale vecchio”.
Intorno alla Libertà che si prendono alcuni nei primi giorni di quaresima alla romana d’andare a bella posta ne’ luoghi di rito ambrosiano al così detto carnevale vecchio ha scritto nel settecento un curato d’Arogno Giovanni Battista Rusca un libro sostanzioso (stampato dagli Agnelli di Lugano nel 1764) nel quale condanna di peccato mortale chi vuole prolungare il carnevale.
La pubblicazione suscitò un vero rovello; lo stesso anno comparse, anonima, una Risposta critica… intorno al così detto carnevale vecchio, sempre stampata dagl i Agnelli, con le false date di Lucca, nella quale l’autore dice che il peccato mortale stà, se mai, nel fare carnevale sempre. Il Rusca non disarmò e, a sostegno della sua tesi, l’anno dopo uscì con una Lettera apologetica… in cui si confuta la Risposta portando la voce di una trentina di teologi italiani. Questa Lettera ha avuto ben cinque recensioni diverse sul settimanale Nuove di diverse Corti e Paesi, dal gennaio-febbraio 1766. La polemica subito dilagò, ne fa fede un intervento anche nel foglio del fiorentino Lami, le Novelle Letterarie n. 6 dell’8 febbraio 1765 dove l’editore scrive: “Io sempre più aderisco al suo (del Rusca) saggio parere, e tanto più volentieri quanto io lo vedo approvato dai giudizi di vari Teologi”.
Oggi non si può condannare chi fa il carnevale romano e il carnevale ambrosiano, ma meritano compassione coloro che, in ogni stagione, inventano carnevali e coloro che li frequentano sempre e dovunque. Tolgono al carnevale il suo scopo, di essere tempo di allegria, per diventare modo di vita. Si può essere d’accordo con chi ha contestato il Rusca che il peccato (disordine) sta nel fare carnevale tutto l’anno.

domenica, febbraio 11, 2007

 

Confiteor

Etic(hett)a da "il c@ffè", 11 febbraio 2007

Torno all’Abbé Pierre. Ha suscitato scandalo quel passo della sua autobiografia dove ha confessato che in gioventù avrebbe ceduto a tentazioni sessuali. I super-credenti, coloro che già non lo stimavano perché era favorevole al matrimonio dei preti e non era sempre allineato come un bravo soldatino nelle file dell’esercito cattolico, avranno pensato: “Lo dicevamo noi!”. Altri però hanno ammirato la sua sincerità e forse avranno ricordato il detto di Gesù: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. L’Abbé Pierre ha confessato di non essere senza peccato, ma di pietre non ne ha mai scagliate contro nessuno. Da buon discepolo di Cristo ha accolto tutti, pubblicani, peccatori, prostitute e, come il suo Maestro, ha chiesto loro: “Qualcuno ti ha condannato?… Nemmeno io ti condanno. Va e non peccare più”.
E’ chiaro che l’Abbé Pierre con quella sua confessione si è giudicato la propria causa di canonizzazione. Nemmeno papa Wojtyla che di santi ne ha fatti tanti (forse troppi) dopo quel “mea culpa” non l’avrebbe elevato alla gloria degli altari.
Personalmente penso che, forse , il povero prete francese, è uscito con quella sincera e non richiesta confessione proprio per evitare un culto post-mortem alla sua persona. Come in vita, così in morte, lui voleva stare coi poveri, con i disperati, con quelli che vengono reputati peccatori della Chiesa perché non osservano a puntino tutti i comandamenti divini e i suoi precetti. Quindi, scrivendo quelle parole auto-accusatorie, l’Abbé Pierre, mi sembra che abbia voluto dire a quell’umanità emarginata: “Sono con voi perché sono uno di voi”.
Quel giorno in cui si farà un calendario che ricordi, non solo i santi cattolici, ma tutti i benefattori dell’umanità, un calendario ecumenico, interconfessionale, lì l’Abbé Pierre troverà il suo posto.

domenica, febbraio 04, 2007

 

In ricordo dell'Abbé Pierre.

Etic(hett)a da "il c@ffè", 4 febbraio 2007

Da più parti mi è stato chiesto se ho conosciuto l’Abbé Pierre; forse perché anche lui è stato Cappuccino, forse perché anch’io mi interesso di problemi sociali. Personalmente non l’ho conosciuto, indirettamente sì. Negli anni ‘70, attirato dalla fama emergente dei campi estivi di Emmaus, con un gruppo di giovani ticinesi feci un’esperienza in quel di Verona, partecipando ad un campo di lavoro organizzato dai discepoli dell’Abbé Pierre. Compito dei ragazzi era quello di andare in città e nelle campagne vicine a raccogliere carta, portarla in un capannone, mentre le ragazze dovevano togliere eventuali nastri adesivi, imballarla per portarla a riciclare. Fu un’esperienza forte e bella. La sera ci si trovava a discutere, e li conoscemmo le gesta di quel eccezionale animatore francese raccontate con entusiasmo da chi lo conosceva. Poi, chi era credente, veniva invitato ad un momento di preghiera. A me rincrebbe che, dopo alcuni giorni di lavoro, fui mandato nella segreteria del campo per ricevere, ascoltare e, con un’assistente sociale, aiutare i vari disperati, soprattutto ex carcerati che bussavano alla porta di quel campo lavorativo. Non so ancora oggi se mi affidarono quel compito perché non rendevo molto nel lavoro materiale (probabilmente), o perché avevano ritenuto che un frate avesse la pazienza necessaria per ascoltare tanti poveri disperati che venivano a chiedere pane e conforto.
Questo mio ricordo di una conoscenza indiretta dell’Abbé Pierre vuol essere un ringraziamento a questo grande uomo per avere indicato ai giovani la strada del volontariato tramite quei campi di lavoro. Io stesso, col gruppo portato a Verona, andai un anno nel trentino a liberare campi e strade dai detriti accumulati da un furioso uragano, ed andammo (o meglio andò il gruppo perché io mi ammalai e finii all’ospedale) in Sicilia dopo il terremoto. Esperienze forti, che consiglio a tutti i giovani dai 15 anni in su. Più di tanti discorsi, il contatto con popolazioni colpite da disgrazie o un’esperienza nel Terzo Mondo, forgia il carattere, apre orizzonti, educa alla socialità, fa vivere il vangelo.

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