domenica, aprile 29, 2007

 

Radici culturali

Si è fatto un gran parlare di una possibile vendita del Centro Svizzero a Milano.
La cosa mi interessa perché sono sempre stato attivo presso questo Centro, dato che vivo a Milano più o meno due giorni la settimana dove tengo dei corsi e mi impegno nelle ricerche bibliografiche nelle varie e ricche biblioteche. Accanto al Centro Svizzero di Milano vi è un Società Svizzera molto attiva, che raggruppa sia cittadini elvetici, sia cittadini che provengono da genitori elvetici, sia amici. Presso questa Società che si raduna ogni giovedì sera per una attività culturale, ricreativa, gastronomica, ho presentato diversi libri e ho tenuto diverse conferenze.
Il Centro Culturale svizzero legato al Consolato, e distinto da questa Società anche se ambedue hanno la sede nello stesso grattacielo, non è un centro chiuso, ma aperto a ogni afflusso e collaborante con le istituzioni culturali milanesi.
Per esempio i miei libri di bibliografia sull’Ottocento ticinese sono stati presentati presso la biblioteca Trivulziana con una manifestazione organizzata dal Consolato Svizzero, gli altri sul Settecento sono stati presentati presso la biblioteca di Brera, sempre sotto gli auspici dello stesso Centro. Chiudere o vendere il Centro culturale e relegare l’attività del Consolato in qualche palazzina della città sarebbe un suicidio culturale per tanti svizzeri che si trovano a Milano e che sentono ancora molto viva l’appartenenza alla nostra nazione. Qualcuno di loro ha addirittura un doppio domicilio, a Milano permane durante i giorni lavorativi, il sabato e la domenica ritorna volentieri nel Ticino. Chi ha ventilato, per motivi strettamente economici, questa vendita certamente non conosce, o non vuole riconoscere, i legami che esistono tra il Ticino e la capitale lombarda.
I legami politici e i legami religiosi, in quanto le nostre valli ambrosiane dipendevano dall’arcivescovo di Milano, oggi i legami, economici, ma vorrei sottolineare soprattutto culturali. Vendere una sede così prestigiosa, vuol dire non riconoscere un lungo lavoro pazientemente tessuto da diversi Consoli fra i quali anche alcuni ticinesi, e fa prevalere motivi prettamente finanziari a quelli storici e culturali. Cosa che ha meritato una corale ribellione, non solo da parte dei ticinesi, ma anche del Grigioni Italiano e penso da parte di tutti gli svizzeri che hanno a cuore l’identità culturale variegata alla nostra Nazione.
Mi auguro che questo discorso sia veramente chiuso e che tutte le attività che hanno sede nel Centro Svizzero milanese possano continuare pacifiche e indisturbate.

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domenica, aprile 22, 2007

 

Pasqua di liberazione


Siamo in tempo pasquale; la mia Comunità ha deciso quest’anno di celebrare la festa di Pasqua tenendo particolarmente presente la Pasqua ebraica che sta studiando nel corso biblico dove si legge il libro dell’Esodo. Quindi non solo la risurrezione di Cristo (Pasqua cristiana), ma il passaggio (di qui il nome Pasqua) dalla schiavitù alla libertà.
Che cosa significa concretamente, per un ebreo di tutti i tempi, questa festa? Parlando con alcuni di loro ho avuto queste risposte. Deporre le preoccupazioni, le ansie della vita e vivere un momento di liberazione ideale e reale da tutto quello che è la fatica quotidiana. Nella celebrazione della Pasqua è soprattutto il ricordo dei momenti di persecuzione e di difficoltà. Essi sono presenti, ma non opprimono l'animo. Quando Israele celebra la prima Pasqua non è ancora uscito dall'Egitto è ancora sotto la minaccia dell’oppressione, eppure già vive un momento di liberazione. Deposte tutte le preoccupazioni, malgrado l’ostilità del mondo circostante, viene celebrata questa vittoria sull’ansia della vita, nella fiducia che Dio è liberatore. È una celebrazione religiosa, nella quale viene proclamata la forza vittoriosa di Dio, malgrado le circostanze avverse, e viene quindi già realmente vissuta la liberazione. Con la celebrazione, essa è già resa presente. L’israelita, nel celebrare la Pasqua, ricorda sempre: “Adesso Dio ci sta liberando, questo è il momento della nostra salvezza”.
Possono con forza ripetere queste parole: “Adesso Dio ci sta liberando”, tutti gli uomini che aspirano ad una vita più umana. È un’invocazione e un augurio. Quindi, augurando ai miei affezionati lettori un buon tempo pasquale, dico a tutti: cerchiamo di essere uomini liberi per essere uomini responsabili della propria vita. Se credenti domandiamo a Dio di aiutare la nostra fragile volontà in questa lotta di liberazione da qualsiasi schiavitù interiore ed esteriore. Se non credenti facciamo uno sforzo di buona volontà.

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domenica, aprile 15, 2007

 

Ancora politica


Da quindici giorni sono passate le elezioni cantonali, ora è il tempo di pensare e parlare di politica. E iniziamo con una domanda: vale veramente la pena impegnarsi nella politica?
Prima di rispondere poniamoci una seconda domanda dalla quale dipende la risposta alla prima: dove tende l’azione politica, intesa come dinamica costruttiva di una società e non solo come arte degli equilibri, o - peggio ancora - come terreno di conquista dei vari partiti?
Per me, la politica deve tendere al bene della “polis” del Paese, e questo bene lo si raggiunge puntando non sulle divisioni, ma sull’unità. Ecco perché bisogna parlare di concertazione, di discussioni prive di preconcetti, di sedersi al tavolo pronti soprattutto ad ascoltare e solo dopo a parlare.
Che tristezza assistere alle trasmissioni televisive che ci portano in casa sedute parlamentari dove si vedono deputati che chiacchierano, leggono, scrivono e non ascoltano. Oltretutto che cattivo esempio.
Assistetti ad una sola seduta del nostro Gran consiglio parecchi anni fa, in tribuna. Vi era una classe di scuola superiore. Quei ragazzi mi espressero il loro sconcerto per lo spettacolo a cui assistevano.
Uno mi disse: “Se a scuola ci comportassimo così!…”.
Ma non ho ancora risposto alla prima domanda, se vale ancora la pena impegnarsi in politica. Lascio la parola al Cardinale Carlo Maria Martini: “Vorrei dare una risposta che forse è un po’ ardita ma tuttavia è radicale. Se non giungiamo ad una visione completativa della politica, difficilmente riusciremo a dare una risposta di valore assoluto di questa domanda. Daremo risposte di utilità, di comodo, di necessità, di urgenza e mai però di volere assoluto, mai una risposta che ci sostenga nei momenti più difficili di questo impegno politico, pieno di ambiguità e di tranelli. È necessaria una visione altissima della politica, cioè una visione completativa che abbia sempre e solo di mira il bene comune”.

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domenica, aprile 08, 2007

 

Buona Pasqua a tutti


Pasqua di risurrezione. Pasqua vuol dire passaggio, risurrezione vuol dire vita nuova. Di passaggi costruttivi ed intelligenti ne abbiamo bisogno tutti. Una volta si diceva: “Guai ai vinti”, oggi si potrebbe dire: “Guai ai fermi!”, a coloro che non avanzano, che non hanno progetti. Applico questo augurio pasquale d’avanzare, sia alle persone - crescano in bontà -, sia alle famiglie - crescano nella comprensione e nell’amore -, sia alla società. Dopo le votazioni cantonali mi auguro che il nuovo Esecutivo ed il nuovo Legislativo facciano avanzare il Cantone non solo economicamente, ma soprattutto politicamente.
Il secondo augurio è che per Pasqua ci siano parecchie resurrezioni.
Qui mi rivolgerei soprattutto ai partiti. Il numero delle schede senza intestazione partitica e l’avanzamento della Lega che non si ritiene un partito, ma un movimento, dice chiaramente che i partiti storici sono in crisi. Personalmente ritengo che siano veramente in difficoltà perché, più che aggiornare la propria identità secondo linee filosofiche ed etiche alle quali dovrebbero ispirarsi, curano delle facciate storiche, così che nei loro gruppi radunano ideologicamente ed eticamente troppo diverse. Ed allora, il cittadino, non conoscendo e non comprendendo quale siano le idee forza di un partito preferisce non scegliere nessuno o votare per le persone, o per quel movimento che dichiara esplicitamente di “coltivare un atteggiamento prammatico, creando in parlamento delle alleanze variabili a seconda dei problemi da risolvere”, alla faccia di una programmazione politica. Ma tant’è, i partiti raccolgono quello che hanno seminato, invece di essere scuole di politica si sono dimostrati agenzie di collocazione dei loro galoppini. Infatti abbiamo assistito ad una campagna povera di idee e ricca di santini.

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domenica, aprile 01, 2007

 

Auspici di politica nostrana

Etic(hett)a da Il Caffè 1.4.2007

Quando parecchi lettori di questo settimanale leggeranno questa Etic(hett)a non conosceranno ancora i risultati delle elezioni per il Consiglio di Stato. Tireranno comunque un sospiro di sollievo perché sarà terminata un’infinita campagna durante la quale, più che idee, si sono viste facce. Forse non abbiamo mai avuto una campagna elettorale con tante visibilità e, per il Consiglio di Stato, penso che stia ad indicare una difficoltà di convincere il cittadino a rieleggere tutti i vecchi membri che in corpore si ripresentano. Si parla di un governo fotocopia e di ciò molti sono preoccupati, arrivando ad augurarsi che, se così fosse e se i cinque non troveranno un miglior accordo di quello manifestato nella scorsa legislatura, la voce dovrebbe ripassare al popolo che costituzionalmente può cambiare governo.
Ma c’è la previsione contraria che nessuno venga rieletto.
L’abbiamo sentita l’altra sera alla Tsi durante la disputa dei presidenti di partito. Si affermava che non è sicuro Luigi Pedrazzini, tallonato dal cugino Alex. Non è sicuro Marco Borradori, per la debolezza del suo partito. Non è sicura Marina Masoni, confrontata con Laura Sadis. Non sono nemmeno sicuri i due che sembrano più sicuri: Gabriele Gendotti, che potrebbe essere lasciato a casa dalle due donne del suo partito ed anche Patrizia Pesenti, per la lotta fra due uomini del suo partito, quello voluto e quello non voluto dalla dirigenza.
Scenario apocalittico?… Speriamo di no.
Comunque coloro che saranno eletti dovrebbero prima fare un seminario di dinamica di gruppo durante il quale, a mio avviso, dopo aver detto l’uno dell’altro tutto quello che pensano, dovrebbero insieme riflettere su cinque punti prioritari, uno per dipartimento:
1. Il degrado territoriale che minaccia la salute di tutti.
2. La crisi dell’attuale scuola media che spompa i docenti e non fa crescere gli allievi.
3. La situazione finanziaria di molte famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese.
4. La violenza e le poche forze concesse per combatterla.
5. L’aumento delle spese sanitarie sia per l’ente pubblico come per i privati.

A tutti, chiunque siano, buon lavoro.

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