domenica, febbraio 28, 2010

 

Cesare o Creso?

La settimana di carnevale sono stato in Palestina con un folto gruppo. Non voglio tediarvi con la cronaca del viaggio, vi dico solo che per credenti e non credenti è un itinerario da farsi.
Mi soffermo su un particolare; ho visto qualche raro povero (handicappato) chiedere l’elemosina. Vicino a lui un cartello, con una sola parola, quasi un attestato di legittimazione. Mi sono fatto tradurre quella parola e con mia sorpresa mi fu detto che significava “Giustizia”. Avete capito! Non elemosina, non carità, ma semplicemente Giustizia.
Mi sono allora ricordato delle parole introduttive dell’agenda del Sacrificio Quaresimale e Pane per i fratelli che avevo appena ricevuto prima di partire e che fra l’altro dice: “La crisi dell’economia e della finanza ha gettato altri cento milioni di esseri umani sull’orlo di un precipizio. Un miliardo di persone non ha abbastanza da mangiare. I principi della vita sono negati dalle regole economiche e commerciali in vigore. Esse hanno speculato sul valore del cibo e di conseguenza su quello della vita umana, ribassandola ai livelli più bassi."
Il mercato globale va ripensato e rinnovato, affinché sia più vicino ai bisogni veri di tutta la società. Occorre ribadire il primato dello sviluppo umano a tutti i livelli, non la massimizzazione dei benefici per pochi.
Più giustizia nel commercio: diritto al cibo, è il motto di questa Campagna ecumenica. Urgono nuove regole commerciali, che permettono a tutti di approfittare del mercato globale.
Cristo ci ha parlato di altri valori: “Accumulate le vostre ricchezze in cielo. Là i tarli e la ruggine non li distruggono e i ladri non rubano. Perché dove sono le tue ricchezze, là c’è il tuo cuore”.
Regole alternative esistono già. Sono applicate nel commercio equo, nell’economia sociale e solidale, nei sistemi di condivisione, nelle banche del tempo, nei mercati di prossimità...
Nell’agenda che si distribuisce nelle chiese vi è la testimonianza di persone che concretizzano queste alternative, sia al Sud sia sul nostro territorio, e che sarebbero anche alla portata di noi tutti.

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domenica, febbraio 21, 2010

 

Quaresima 2010

È iniziata la Quaresima con il rito delle Ceneri. Vi è un detto popolare che dice: “Cospargersi di cenere” per significare pentimento o, almeno, presa di coscienza di qualche cosa che è andato storto.
Chi dovrebbe “cospargersi di cenere” in questa Quaresima? Nell’ultima etic(hett)a ho parlato di quei genitori che non si sono dimostrati in grado di educare i propri figli; per loro, “cospargersi di cenere”, potrebbe dire accettare una proposta formativa.
Altri che dovrebbero “incenerirsi” sono le banche e i governi. Tutti sappiamo che si trovano davanti a preoccupanti interrogativi. I governi nazionali devono comperare, per cifre ingenti, i nomi dei loro evasori fiscali che funzionari delinquenti rubano ai loro istituti?
Rispondendo di sì, si afferma che i governi sostengono questo modo illecito di agire. Rispondendo di no, si afferma che gli stessi governi, indirettamente, favoriscono l’evasione o, per lo meno, la lasciano impunita. Un bel “rebus”! Secondo la teologia morale cattolica tradizionale, in casi simili bisogna scegliere il male minore. Ma in questo caso qual è il minor male? Personalmente ritengo che il male minore - ma sempre male - sia il peccato sociale, quindi gli evasori di grosso calibro devono essere scovati, trovando modi e maniere il meno eclatanti possibili. Chi evade il fisco danneggia tutto il tessuto sociale e carica sulle persone meno abbienti quello che i ricchi nascondono.
Altri che dovrebbero “cospargersi di cenere” sono quelle persone, del clero e del laicato, che ritengono il loro modo di essere cristiani l’unico possibile, autentico e valido. Sono rigidi con i dubbiosi e non credenti e presentano un Gesù severo e poco accogliente e per nulla dialogante. Gesù non era così; ci ha insegnato a non spegnere il lumicino fumigante. E la sua severità la usò con chi non accolse quelle profetiche parole che disse: “Voglio misericordia, non sacrifici”.

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domenica, febbraio 14, 2010

 

Senza famiglia?

Un tribunale italiano ha condannato i genitori di un gruppo di ragazzi alla multa di 450.000 euro perché i loro figli avevano stuprato più volte una ragazzina di dodici anni. Motivazione: quei genitori avranno mancato ai loro compiti educativi, con l’aggravante che quei giovani sicuri durante gli interrogatori non avevano mostrato il minimo segno di pentimento. Il tribunale aveva giudicato che compito dei genitori non è solo un’educazione etica, in questo caso assente, ma anche un’educazione ai sentimenti, dei quali i loro figli si dimostrarono assolutamente digiuni.
Riferisco questo fatto perché ho sempre sostenuto che, quando un figlio delinque gravemente, anche il genitore deve essere coinvolto nella correzione, forse non con multe salate, ma con l’obbligo di seguire dei corsi formativi sui propri compiti educativi.
Quando feci questa proposta, a chi di dovere, mi fu risposto che ha poco senso obbligare dei genitori a fare cose in cui non vogliono impegnarsi. Ma tutto dipende come si presenta e conduce questa formazione, perché resta sempre vero che il “mestiere” dei genitori è socialmente il più difficile, ma il meno insegnato!
Una volta c’erano delle tradizioni famigliari forti, di grande rilievo morale, e la religione faceva la sua parte.
Oggi la realtà è diversa, specie in famiglie dove i genitori hanno dato spettacolo di lotte interne fra i membri della coppia, seguite da divorzi, lasciando magari alla madre il compito di educare da sola dei figli adolescenti che contestano la sua autorità e si vendicano con un comportamento delittuoso per un’infanzia serena a loro negata. Inoltre ci sono casi dei genitori che devono lavorare ambedue, lasciando i figli troppo soli. Lo Stato è chiamato ad intervenire, affinché i genitori siano aiutati ad allevare, ma anche educare i figli.

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domenica, febbraio 07, 2010

 

Il senso della vita

Penso che a nessun ticinese, sensibile e non superficiale, sia passato inosservato un tristissimo fatto: l’aumento dei suicidi e lo stroncamento di vita per disgrazie stradali, col pericolo che aumentino ancora di più durante la prossima settimana di carnevale.
Abbino le due disgrazie per il loro denominatore comune: la perdita della vita.
Perciò mi sembrano lecite due domande: ma è un bene così trascurabile la vita? Quali possono essere le cause che la rendono poco apprezzabile al punto che uno decida di togliersela, altri di metterla in pericolo per se stessi e per gli altri?
Prima di rispondere voglio manifestare alcuni sentimenti. Innanzitutto il profondo rispetto per chi si è tolto la vita. Quando ho dovuto fare funerali in simili occasioni - anche di miei allievi - ho sempre raccomandato di mettere in pratica il Vangelo: “Non giudicate”. Che diritto abbiamo di coltivare pensieri e di pronunciare parole su fatti di cui non conosciamo le cause più profonde? Inoltre il mio pensiero va a chi rimane. I due casi - suicidio e disgrazia - lasciano gente nel dolore e nel lutto che domanderanno molto tempo e molta forza per essere smaltiti.
Detto questo, con tutto il cuore, mi ripropongo l’interrogativo: perché si stima così poco la vita da rinunciarvi e da non avere tutte le cure possibili per rispettarla in se stessi o negli altri? Le risposte possono essere diverse: in un mondo dove vengono coltivati soprattutto i beni materiali (denaro, comodità), un bene spirituale come la vita, spesso non è sufficientemente apprezzabile.
Le scene di violenza a cui troppo spesso siamo sottoposti (specie sui canali televisivi privati italiani) iniettano il disprezzo per la stessa. La facilità con cui si elimina la vita del nascituro per salvaguardare i diritti della donna negando il diritto del feto, non aumenta il rispetto della vita. La mancanza di fede in un Dio autore e donatore di vita, non permette a troppe persone di ricorrere a lui, quando questa è in pericolo per gravi disgrazie, forme depressive, tragedie in famiglia e sul lavoro.
Malgrado tutto ciò un pensiero dovrebbe aiutarci tutti: la vita è un bene donato a noi per fare del bene agli altri.

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