domenica, dicembre 24, 2006

 

Festa della Famiglia

Etic(hett)a da "il c@ffè", 24 dicembre 2006

Le feste possono essere mezzo di unità e, purtroppo in certi tristissimi casi, mezzo di disunione. Qualcuno penserà che intendo parlare del Natale vissuto in certe famiglie divise dove i figli, anche piccolissimi, dovranno passare il 25 dicembre con la mamma il nuovo marito e il 1. gennaio con il papà e la sua convivente.
Non intendo parlare di divisioni familiari, tristissime e devastanti, ma anche di possibili divisioni religiose che a Natale potrebbero acuirsi perché alcuni festeggiano altri no. È chiaro che per i cristiani il Natale ha un significato ben preciso; è il ricordo della nascita di quel Gesù che ha dato una svolta alla storia dell’umanità, tanto che da quell’avvenimento è nata una nuova era.
Ma per le altre religioni? Per gli ebrei potrebbe essere il ricordo della nascita di un loro connazionale (un fratello, mi diceva uno di loro) con il quale - pur non riconoscendolo Messia e Figlio di Dio - si sono pacificati.
E per gli islamici? Il Corano parla della nascita di Gesù (Sura 3), ma la modella su un fatto biblico dell’Antico Testamento, la fuga di Agar schiava di Abramo nel deserto, dove in quel luogo tipicamente arabo, avrebbe partorito il figlio Ismaele, frutto del seme di Abramo. Nel deserto anche Maria (che il Corano dichiara “Santa”) avrebbe partorito Gesù. Comunque il Natale, anche per gli islamici, dovrebbe essere una festa di pace e di concordia.
Per sottolineare questi sentimenti di fratellanza che per Natale dovrebbero fiorire, ho pensato di far precedere la Messa di mezzanotte di questa sera (ore 23.00) da una discussione (tavola rotonda) tenuta nella mia chiesa del Sacro Cuore a Bellinzona sul tema "Che cosa è per te il Natale". Animeranno la discussione alcune donne di religioni diverse: cattolica, evangelica, islamica e una agnostica. Seguirà alle 24 la Santa Messa. È anche questo uno sforzo per dimostrare che tutte le religioni e ideologie mirano a far rinascere l’uomo e si sforzano di potenziare la sua vita spirituale.

domenica, dicembre 17, 2006

 

A Natale

Etic(hett)a da "il c@ffè", 17 dicembre 2006

L’avvicinarsi delle feste natalizie ripropone il discorso sui segni e le tradizioni. Questo settimanale quindici giorni fa ha già riportato la voce di alcuni commercianti nostrani che avvertivano come l’albero era più venduto delle statuine del presepio, mentre altri ritengono che anche il presepio stia suscitando nuovo interesse. Se le statuine si vendono di meno è perché sono più durature dell’albero che resiste una stagione, a meno che non sia quello orribile di plastica. Ci sono famiglie che per Natale tirano fuori da armadi e cassettoni antichi presepi, gelosa eredità degli avi e quando li compongono, ritornano con la mente e con l’affetto ai tempi della loro fanciullezza e alle prime persone conosciute ed amate nella loro infanzia.
Si dice che il presepio sia stato inventato da San Francesco d’Assisi. In merito dobbiamo distinguere; sembra che il presepio con le statuine sia opera di una monaca tedesca medievale, vissuta prima di San Francesco. Il santo di Assisi sarebbe l’inventore del presepio vivente, avendo fatto, in quel di Greccio, la prima sacra rappresentazione natalizia. La cosa mi sembra verosimile, perché non è da San Francesco delegare a statuine di rappresentare fatti evangelici. Lui, Gesù, voleva imitarlo in prima persona.
Ecco perché nelle chiese francescane il presepio è una bella tradizione ormai secolare.
Nella mia chiesa del Sacro Cuore a Bellinzona, ormai da tre anni ne allestiamo una ventina di carattere diverso, tradizionali e moderni, dipinti e plastici, grandi e piccini, con le tecniche più varie. C’è un gruppo di tre signori, che noi chiamiamo “i presepisti”, che da mesi lavora per allestire i presepi maggiori; mentre altri vengono portati da famiglie e allestiti da membri della Comunità. Dunque, anche quest’anno saranno esposti per tutto il mese di gennaio tanti presepi e costituiranno un percorso meditativo, perché ogni presepio avrà uno scritto che invita alla riflessione.

giovedì, dicembre 14, 2006

 

Ringraziamenti

Vorrei, anche in questa sede, ringraziare personalmente tutti coloro che con le loro domande, suggerimenti e proposte mi hanno aiutato a concludere e pubblicare il mio ultimo libro:
"Ti presento Gesù Cristo"


   

A questo scopo accludo per intero il testo di Fernando Lepori letto a Spazio Aperto il 4 dicembre 2006 per la sua presentazione: forse qualcuno potrà riconoscersi.


L’aspetto che caratterizza maggiormente il libro di p. Callisto, e che del resto risulta evidente fin dal frontespizio, è che esso si rivolge esplicitamente ai dubbiosi e ai non credenti. Con due precisazioni: per i primi: "chi dubita senza preconcetti"; per i secondi: "chi non crede senza astio" (così almeno si leggeva nella versione che io ho letto prima della stampa, adesso vedo che la formulazione è stata leggermente modificata). Dunque non gli indifferenti, e nemmeno quei laicisti radicali che tendessero a negare anche solo la legittimità di una riflessione su Dio e sulla trascendenza.
Naturalmente, accanto a "chi dubita" e a "chi non crede", il libro ha anche un terzo destinatario, cioè il credente. Questo risulta chiaro dalla lettura: spesso, dopo l’illustrazione di un passo evangelico, l’autore propone le sue riflessioni, differenziandole secondo che il suo lettore sia chi crede, oppure chi dubita, oppure l’ateo.
Con questa scelta p. Callisto mostra di aver capito che la nostra società, quella dei primi anni del terzo millennio, è cambiata: non è più caratterizzata (come poteva essere anche solo dieci o quindici anni fa) da una contrapposizione tra i credenti e coloro che, un po’ impropriamente (l’uso del termine è tipico della cultura italiana), sono definiti laici. Quella divaricazione oggi si è molto attenuata: da parte dei laici è venuto meno molto dell’anticlericalismo che a volte li contraddistingueva (retaggio della cultura sette e ottocentesca); da parte dei credenti si guarda in altro modo a chi non crede. In altri termini: oggi i contorni sono molto più sfumati, la distinzione tra chi crede e chi non crede (non parlo qui di pratica religiosa) non è più così netta.
Con questo si spiega molto bene la scelta di p. Callisto. Come dire: chi vuole presentare oggi la vita di Gesù di Nazaret si rivolge, prima che al credente, a chi dubita e a chi non crede.

Un secondo aspetto che va subito indicato è il seguente: il libro di p. Callisto è una presentazione della vita e delle opere (usiamo pure questo binomio classico, da manuale) di Gesù di Nazaret condotta secondo il metodo della ricerca storico-critica: questa è un’acquisizione non recente, ma nemmeno scontata per tutti i lettori.
Chi legge il libro constata che quello che, pagina dopo pagina, vi si dice su Gesù si appoggia continuamente, come a una fonte letteraria, ai Vangeli: dunque una continua analisi di passi evangelici. Non solo: il Vangelo non viene interpretato, ingenuamente, ‘alla lettera’: viene letto come si legge un testo letterario, cioè un testo che non è cronaca, non è un’elencazione di fatti, ma è una rielaborazione di fatti. P. Callisto è spesso esplicito nel rendere attento di questo il lettore: parla di generi letterari, del valore simbolico di certe formulazioni che ricorrono in molti passi del racconto evangelico. Ci insegna insomma che, come non si può leggere la Divina commedia senza conoscere il 'codice' della letteratura dei XIV secolo, come non si può leggere l’Orlando furioso senza conoscere il 'codice' della letteratura cavalleresca del Rinascimento, così anche i Vangeli vanno collocati nel tempo e nello spazio, sono opera di scrittori che hanno rielaborato i fatti secondo una griglia interpretativa (teologica, nel caso): che è il carattere distintivo di ogni opera letteraria.
Queste esplicitazioni didattiche, cui l’autore fa spesso ricorso, sono un aspetto molto utile: lo studente liceale, che oggi viene sempre più abituato a leggere un’opera collocandola nel tempo e nello spazio, ritrova gli stessi metodi, lo stesso tipo di approccio nei passi evangelici analizzati da p. Callisto.

Ma su questa riflessione se ne innesta subito un’altra. Con lo sviluppo della ricerca storico-critica, negli ultimi decenni sembra essersi prodotta una divaricazione tra il "Gesù degli storici" e il "Gesù della fede". Che cosa dire? Direi questo: la nostra mentalità ancora (felicemente, dico io) illuministica pone l’esigenza di un livello di conoscenza razionale indipendente dalla fede. Non possiamo prescindere dalla ricerca storica che mira ad un accertamento dei fatti con spirito critico (non parlo qui di un gretto positivismo): e la ricerca storica non impedisce di credere, e (ovviamente) nemmeno obbliga a credere: lascia la libertà di credere o meno. Ma è necessaria. Che cosa troviamo nel libro di p. Callisto? Troviamo una forte esigenza di conoscenza storica: il Gesù di Nazaret che egli ci propone è il Gesù storico, che egli ci fa conoscere a partire dal luogo e dal tempo in cui è nato e cresciuto: ci sono anche pagine sull’aspetto fisico di Gesù, sulla sua psicologia. E giustamente l’autore contrappone - a volte in modo anche un po’ provocatorio - un Gesù "uomo" ad un’immagine oleografica di quel Gesù troppo Dio per essere uomo che una certa tradizione ci ha tramandato. Ma nel Gesù storico che p. Callisto ci propone c’è, e in molte pagine con molta forza, il Gesù della fede. Come dire che il tentativo di p. Callisto è proprio quello di conciliare il Gesù storico con il Gesù della fede.

Un’ultima riflessione. Credo che p. Callisto non ci avrebbe dato l’opera che questa sera abbiamo fra le mani senza due esperienze delle quali egli stesso ci parla fin dall’inizio: il suo insegnamento, particolarmente nei licei; i suoi pellegrinaggi in Terra Santa. Dalla prima nasce la chiarezza didattica presente in ogni pagina, la volontà di comunicare in modo chiaro (linguisticamente, concettualmente) il proprio pensiero a un lettore di fronte al quale egli si pone come a un interlocutore che lo sta ascoltando. Con la seconda si spiegano e si capiscono meglio quei continui riferimenti, molto vivi e concreti, ai luoghi in cui Cristo è vissuto ed ha predicato il suo messaggio: io stesso ho partecipato, quest’anno, a un pellegrinaggio in Palestina con p. Callisto e devo confessare che inizialmente nutrivo un qualche scetticismo nel senso che, se non dubitavo che quel viaggio mi avrebbe consentito una migliore lettura "storica" del vangelo, mi domandavo se avrebbe reso possibile anche una migliore lettura "religiosa" (non c’era il pericolo, mi chiedevo, se mi si consente il termine, di un certo feticismo?). L’esperienza vissuta con p. Callisto mi ha dimostrato che i miei dubbi non erano giustificati: un pellegrinaggio in Terra Santa aiuta indubbiamente a capire il Vangelo anche nella sua specifica dimensione religiosa.
E, naturalmente, non si potrebbe capire perché p. Callisto ha scritto questo libro senza un’altra esperienza (oltre a quella di insegnante e di pellegrino), ben più radicale: la fede. Lo dice in modo molto sobrio alla fine: "Questo lavoro è nato dalla fede e dall’amore per Gesù Cristo al quale ho cercato di dedicare la mia vita".

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domenica, dicembre 10, 2006

 

Amare anche Caino

Etic(hett)a da "il c@ffè", 10 dicembre 2006


La condanna di Ajmal Aziz è già un ricordo. Quello che fu definito il mostro di Pratocarasso è stato condannato a 18 anni di reclusione. Che tristezza! Un giovane dovrà passare la propria giovinezza e i primi anni dell’età adulta in prigione. Mi sovviene il motto biblico: “Non infierite su Caino”, anche Dio lo ha preso sotto la sua protezione e per il caso specifico possiamo aggiungere: “E Maometto, il suo profeta, farà altrettanto?”. Non voglio sminuire il suo delitto, mi auguro soltanto che il carcere sia educativo e non vendicativo. Perché la nostra società che lo ha condannato è corresponsabile di questo delitto, per convincersi basta che risponda sinceramente a queste due domande: Che cosa facciamo per l’integrazione degli stranieri? Come mai è stato possibile quel matrimonio, senza che nessuno interrogasse separatamente i due sposi sulla loro volontà di contrarlo? Anche a me, come parroco e come conduttore di corsi per fidanzati, capita di incontrarmi con coppie che mi sembrano non sufficientemente motivate a quel passo. Ho sempre parlato con loro, insieme e separatamente. Se la mia impressione diventava certezza li ho sempre esortati a non celebrare le nozze, né civili né religiose. Qualche volta sono stato ascoltato. Se fossero stati cattolici Khudeja e Aziz sarebbero stati miei parrocchiani, e se fossero anche stati praticanti sarebbero venuti probabilmente da me, per il rito religioso delle nozze. Invece non li ho conosciuti, nemmeno lei che da anni abitava a poche decine di metri dalla mia chiesa. Quando capitò il delitto fui intervistato dalla Televisione della Svizzera Italiana, dissi tutto il mio dolore, raccomandai discrezione nel trattare il tema, confessai la mia impotenza. Oggi non ritengo che questa impotenza sia giustificata. Ecco perché la direzione di Spazio Aperto, il Centro di animazione sociale che si trova in quel Pratocarasso dove si sentì il grido biblico “il sangue di tua sorella grida a me dalla terra” (Genesi 4,10) ha deciso di agire. Martedi 12 dicembre ha invitato tutti i rappresentanti delle organizzazioni straniere esistenti nel Ticino (una sessantina fra gruppi, associazioni, comunità, e chiese ) a ritrovarsi nel nostro Centro (ore 18.30) per vedere insieme le difficoltà di integrazione. I ticinesi non sono esclusi, per integrarsi (non per integrare) bisogna incontrarsi.

domenica, dicembre 03, 2006

 

San Nicolao

Etic(hett)a da "il c@ffè", 3 dicembre 2006

Quando mi leggerete, forse San Nicolao è già arrivato nella mia chiesa del Sacro Cuore. Mi direte: San Nicolao anche in chiesa? Non è sufficiente che giri per le strade, e nei supermercati, ecc? Vi rispondo: San Nicolao rappresenta un vero santo, quindi il suo posto è in chiesa, non nei supermercati o in altri luoghi commerciali. Ecco il motivo per cui, quando il Circolo Ippico degli Ufficiali voleva organizzare l’arrivo di San Nicolao al Centro Spazio Aperto, io ho consigliato di farlo arrivare in chiesa dopo la Messa parrocchiale, perché la chiesa è la casa di Dio, dei santi in cielo e della comunità dei credenti in terra che nei santi hanno modelli. Inoltre ricevendolo e salutandolo avrei avuto modo di spiegare ai bambini e agli adulti la vera storia di San Nicolao cercando di togliere la grande confusione esistente fra San Nicolao e Babbo Natale, fra un santo e un rappresentante della Coca-Cola. E quale è questa vera storia?… Perché c’è la tradizione che per San Nicolao si fanno dei doni ai bambini?… Perché nella biografia di questo santo, vescovo della città di Mira (poi detto da Bari dal luogo dove sono venerate le sue reliquie), si legge che Nicolao, quando seppe che un padre voleva avviare alla prost ituzione tre sue figliole perché così si facessero la dote in vista del matrimonio, raccolse la somma necessaria tra i fedeli della sua comunità, poi la sera, di nascosto, gettò tre sacchetti di monete nella stanza delle ragazze che poterono così sposarsi senza passare per l’onta della prostituzione. Due gli insegnamenti, l’aiuto ai poveri e la lotta - tramite la generosità e l’offerta di un lavoro - alla prostituzione.
Insegnamenti attualissimi, perché di poveri ne esistono ancora anche nei nostri paesi e la piaga della prostituzione si rivela non solo il più antico mestiere del mondo, ma anche quello più resistente. Per combatterlo non sembrano servire molto le leggi (anche se necessarie), ma l’aiuto alle giovani donne reclutate da sfruttatori in paesi poveri e avviate ad un mercato disonorante per loro, arricchendo chi le sfrutta, comunque delittuoso.
Comunque anche il fatto che San Nicolao porti i doni ai bambini è una bella tradizione da mantenere e valorizzare, ricordando ai bambini che “si è più beati nel dare che nel ricevere”. Questo detto di Gesù riferito da San Paolo dovrebbe servire per educare grandi e piccini in queste prossime feste affinché si ricordino di coloro che soffrono nella povertà.

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