domenica, luglio 19, 2009

 

Chiesa e laicato.

Anche gli altri anni d’estate, se non c’erano degli argomenti di attualità per queste etichette, cercavo di seguire un filone. Quest’anno, per alcune puntate, ho scelto di parlare della Chiesa; alcune le abbiamo già lette. Quest’oggi vorrei parlare del laicato. A me sembra che, da diversi anni, ci si trova di fronte ad una situazione che definirei di asfissia del laicato, in parte attribuibile al fatto che i laici considerano la Chiesa come un’istituzione la cui responsabilità è in mano soltanto alla gerarchia. Loro si ritengono, non i costruttori delle comunità ecclesiali, ma gli usufruttuari di quello che la gerarchia amministra: i sacramenti, l’istruzione religiosa. Bisogna dire - a scusa di questo tipo di laicato - che questa asfissia, in parte, è anche attribuibile alla poca libertà di parola che frequentemente si riscontra nelle comunità ecclesiali. Basta pensare che il diritto canonico impone un Consiglio presbiterale formato soltanto da preti rappresentanti di religiosi e lascia la libertà ai vescovi di avere un Consiglio pastorale formato sempre da preti e da laici. Questo fatto è già abbastanza indicativo; se poi si aggiunge che questo consiglio ha soltanto voce consuntiva vuol dire che i laici nella Chiesa hanno veramente un ruolo di seconda mano. Personalmente ritengo che il laico debba prendere coscienza della responsabilità che gli deriva dal battesimo, sacramento che lo fa sacerdote, cioè persona sacra, anche se con ruoli diversi dal sacerdozio ministeriale. È soprattutto importante che il laicato faccia sentire chiaramente le sue esigenze, le discuta in momenti e spazi di incontro, di dialogo, senza incontrare difficoltà. Soltanto così, quando i laici si organizzano per dire la loro, e si immettono nelle comunità con dei servizi da loro stessi gestiti in piena autonomia, avremo una “Ecclesìa” partecipata. Il cardinale Carlo Maria Martini diceva che il compito della gerarchia non era quello di guidare il laicato, ma di stimolarlo; soprattutto non aveva il dovere di censurare. Ecco perché io credo che al Consiglio pastorale diocesano e agli altri consigli (penso soprattutto a quello parrocchiale), non si devono presentare problemi da risolvere ma si deve chiedere quali sono i problemi che devono essere risolti. Si stimolino i laici a fare delle indagini per vedere quali sono le necessità ed insieme si cerchino le soluzioni, altrimenti si arrischia di presentare un problema nel quale è già nascosta la soluzione, soltanto per avere un avvallo già scontato. Questo non significa partecipazione.

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