domenica, giugno 14, 2009

 

Essere cristiani, oggi.

Non è un mistero per nessuno che nella Chiesa cattolica, almeno occidentale, vi siano delle difficoltà. Alla primavera conciliare non è seguita un’estate di raccolto, ma un autunno con venti alle volte gelidi. La difficoltà maggiore, a mio avviso, sta in questo fatto denunciato da Giovanni Kirschner in un suo libro dal titolo significativo: Il tempo dell’Esilio, parole che faccio mie in modo convinto e che ho comunicato alla mia Comunità Parrocchiale.
“C’è stato un tempo, che sembra ormai lontano, in cui il cristianesimo in Europa, quindi anche da noi era la religione di tutti. Essere cristiano era un motivo di sicurezza e di prestigio sociale. Eri dalla parte della maggioranza, dalla parte del più forte. Oggi, lo sappiamo bene, non è più così. Da cristiani spesso ci sentiamo fuori posto, diversi, in minoranza. Quello in cui noi crediamo a molti dice poco o nulla, le nostre scelte vanno continuamente motivate e giustificate davanti ai nostri colleghi di lavoro, ai nostri vicini di casa, perfino davanti ai nostri figli che ci chiedono perché gli altri non fanno così”.
Considerazioni come questa sono ormai comuni, anche se spesso le Comunità fanno fatica a prendere atto della situazione e chiudono gli occhi davanti alla realtà, pensando così di difendersi da essa. L’azione pastorale delle Comunità deve aiutare a comprendere, in tutti i suoi risvolti, il passaggio dal regime di cristianità alla condizione di minoranza religiosa. Alla crisi della fede non si può che opporre una fede più limpida, più illuminata, più profonda e un’azione aggiornata attenta ai “segni dei tempi”.
I cristiani che prendono seriamente in considerazione questa situazione saranno vaccinati da ogni tentazione di trionfalismo, anche se dovranno stare attenti ad altre tentazioni, quelle del vittimismo e quella dell’intolleranza verso chi non la pensa come loro, perché ad essere in pochi c’è il pericolo di credersi i soli… cristiani.

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