domenica, febbraio 17, 2008

 

Sgomento, preghiera e perdono.

Non si è ancora spento l’eco per l’uccisione di Damiano Tamagni. Personalmente la tristissima notizia mi ha raggiunto sul Monte Sinai dove, con un gruppo di parrocchiani e amici, stavo percorrendo il cammino dell’Esodo. Uniche reazioni: sgomento e preghiera.

Ritornato a casa ho letto i giornali, ho discusso con amici, mi sono posto diversi interrogativi e mi sono dato alcune risposte che con semplicità voglio comunicare ai miei affezionati lettori.

Prima considerazione: i tre giovani assassini (non abbiano paura di usare questo nome) provengono da etnie che hanno codici comportamentali diversi, radicati, nel profondo di generazioni, che difficilmente si modificano, se non c’è un lungo e costante lavoro di educazione ai valori della pace, della comprensione, del rispetto. Un fatto di per se banale può far riemergere reazioni assolutamente sproporzionate, assurde, che probabilmente nemmeno loro, fuori dal momento del delitto, sanno spiegare. Il carcere punitivo non servirà a nulla se la detenzione non sarà accompagnata da un’opera educativa che vada ad estirpare le radici di un odio incomprensibile, ma realizzatore di un gesto inumano.

Uno di questi ragazzi era arbitro, quindi persona che dovrebbe sedare le risse fra giocatori, giudicare le loro azioni, punire atti scorretti, specie violenti. Ma chi gli ha dato la patente?… Un ente sportivo che non sa scegliere i suoi arbitri è ancora degno di credito?

È giusto favorire i ritrovi, le associazioni, le feste, fra membri della stessa nazione, della stessa etnia, a condizione che non vada a scapito dell’integrazione dei rapporti corretti e rispettosi del paese ospitante.

Non so se questi giovani avevano una religione e se sì, quale. Dal loro gesto risulta avessero quella che quasi duemila anni fa ha portato alcuni membri del nobile popolo ebreo a comportarsi allo stesso modo con un profeta di pace chiamato Gesù.

Ed un pensiero ai genitori della vittima; grazie per il vostro messaggio, Damiano non ha certamente fatto testamento, per lui lo avete fatto voi ed è un attestato di grande nobiltà e spiritualità. Comprendo il padre che ritiene “essere troppo presto per perdonare”. Vorrei ricordargli che perdonare non è dimenticare, non è rinunciare alla giustizia. Perdonare è un lungo cammino che inizia estirpando sentimenti di odio, per giungere a mete lontane, dove la propria sensibilità e la fede possano portare. Se a questa famiglia posso essere di aiuto, sono disponibile.

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