domenica, luglio 10, 2011

 

Eutanasia

Quando per un ammalato terminale si parla di rinuncia all'accanimento terapeutico non s'intende assolutamente l'aiuto alla soppressione della vita, il così detto suicidio assistito.
Con questa espressione si intende l'assistenza prestata a una persona per l'esecuzione del suicidio o fornendo i mezzi atti a procurare la morte o istruendola sulla loro utilizzazione. Questo aiuto non si limita alla fase immediatamente precedente alla morte.
Oggi spesso viene offerto già dopo la diagnosi di una malattia grave o la prognosi di un decorso doloroso di una malattia. In altre parole tecniche, è lecita l'eutanasia indiretta, cioè lenire i dolori anche con mezzi che avvicinano al trapasso, e non è moralmente lecita l'eutanasia diretta, cioè di procurare direttamente la morte anche se da noi, in Svizzera, non vi è una legge chiara, così che parecchie persone si affidano a delle società che esercitano impunemente l'eutanasia diretta, cioè il suicidio assistito. So benissimo che su questo punto vi è un dibattito molto forte.
Anche se un domani dovesse passare una legge che in Svizzera permettesse l'eutanasia diretta, il cristiano ha sempre l'obbligo di non accogliere questa facilitazione a sopprimere la propria vita. È vero che siamo in una società non solo pluralista, bensì pluri-etica, con diverse impostazioni morali, ma per tutti se la vita non è una cosa sacra è perlomeno una cosa preziosa.
In simile società non si può pretendere che le leggi civili seguano sempre i dettami di una religione. Tuttavia la legge non può andar contro ai principi religiosi di una persona: quindi una legge non potrà mai obbligare a procurare una morte diretta anche se, a chi lo ritiene, lo può permettere.

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