martedì, maggio 02, 2006

 

Pastore di pecore attive

Da "Pensieri del dì di festa"

IV Domenica di Pasqua
Giovanni 10, 11-18

La quarta domenica di Pasqua è detta del buon pastore, perché il vangelo di Giovanni riporta queste parole di Gesù:

"Io sono il buon pastore,
il buon pastore offre la vita per le pecore.

Il mercenario che non è pastore,
perché le pecore non gli appartengono,
se vede venire il lupo
abbandona il gregge e fugge,
e il lupo le rapisce e le disperde.
Egli è uno stipendiato
e poco gli importa delle pecore.
Io invece sono il buon pastore".

"Io conosco le mie pecore
e le mie pecore conoscono me".

Ho letto un bel commento a questa pagina del vangelo che voglio riportare almeno in parte: "Quando Gesù afferma di essere il vero pastore, l'unico pastore, il buon pastore, il suo discorso non ha niente di idilliaco. Si tratta della rottura definitiva con i capi d'Israele, prezzolati, mercenari, a cui non importava nulla delle pecore. Si legge infatti nel libro di Samuele: "Il tuo servo - ricorda Davide a Saul - custodiva il gregge di suo padre, e veniva talvolta un leone o un orso a portare via una pecora dal gregge; allora lo inseguivo, lo abbattevo e strappavo la pecora dalla sua bocca".
Questo di mettere a repentaglio la propria vita per una pecora sola, è il modo di agire di Cristo che riportando la vittoria pasquale, ha dato la sua vita per coloro che il padre gli aveva affidato".

Forse a noi non piace molto essere paragonati a pecore, a un gregge; tuttavia l'immagine della pecora, per certi aspetti, suggerisce bene la nostra situazione, privi come siamo di qualsiasi mezzo di difesa contro il lupo rapace. La pecora è - fra tutti gli animali - la meno dotata di senso d'orientamento, e per questo si affida d'istinto al pastore perché la difenda e la conduca.
Così il cristiano; se perde la bussola dentro il dedalo del mondo deve avere dei punti di riferimento, non imposti, ma liberamenti scelti.

Inoltre questa pagina del vangelo, se chiede ai cristiani il sacrificio del loro individualismo per formare comunità, in compenso garantisce loro lo sviluppo della personalità. La vocazione cristiana è infinitamente varia e diversificata; da una parte è agli antipodi dell'isolazionismo orgoglioso di chi pretende di vivere il vangelo restando separato dai fratelli in Cristo, ma dall'altra è agli antipodi dell'anonimato passivo di chi, perdendosi nella massa, si accontenta di un atteggiamento di inerte docilità. La vocazione cristiana è il frutto dell'amore personale del Cristo per ciascuno di noi, sia semplici fedeli, come "impropriamente" detti pastori, perché noi tutti siamo le pecore di quell'unico pastore che ci ha salvato morendo. Ma la stessa vocazione è anche la nostra personale e libera adesione ad un Pastore che ci ha tanto amati da dare la vita per noi.
Ed è appunto dentro questo amore che vogliamo vivere, non come pecore timide, ma attive, e come membri di una grande famiglia che riconosce in Cristo la propria guida.

E per coloro che si ritengono cristiani, ma aborriscono partecipare ad una Comunità, proprio perché la definiscono "gregge", e non vogliono saperne di una guida, di un pastore?... A costoro direi di sforzarsi a rivedere il loro concetto di Comunità e di lavorare con gli altri per trasformare le nostre istituzioni ecclesiastiche da greggi amorfi in famiglie vive.
E vorrei ricordare che, spesse volte, se si rifiutano guide spirituali, si arrischia di seguire "pecorescamente" chi ti spintona verso pascoli solo materiali.

Primavera e speranza


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